Con il nuovo articolo 135-octies del Codice del consumo, inserito dal d.lgs. 173/2021, che permette di pagare con dati i servizi e contenuti digitali, si è fatto un significativo passo in avanti per la costruzione di un mercato incentrato sul riconoscimento del valore economico del dato personale. E’ questa sostanzialmente la conseguenza che deriva dal d.lgs. 173/2021 (che recepisce la direttiva Ue 2019/770). Con tale novità normativa di fatto si ammette l’utilizzo dei dati per l’acquisto di contenuti digitali, con buona pace della tutela della privacy che, però, ne esce tutt’altro che indebolita. Anzi, la notizia è da accogliere con favore. L’esplicitazione di una pratica comune già da tempo, infatti, contribuisce a fugare buona parte delle ambiguità che riguardano la protezione dei dati e l’ambito di applicazione ponendo le basi per una regolamentazione puntuale del fenomeno. Se, quindi, da un lato, ci sono le affermazioni di principio sull’impossibilità di considerare come merce i dati, dall’altro lato la circolare constata (al di là delle opinioni) che la scelta del legislatore di considerare la cessione di dati, quale controprestazione a carico del consumatore, apre la strada a un sistema sempre più incentrato sul riconoscimento del valore economico del dato.
Fino a poco tempo fa era, ad esempio, in voga un adagio secondo il quale “se un prodotto digitale ci viene fornito gratuitamente il prodotto siamo noi”, ovvero i nostri dati personali. Il cambiamento che segue la svolta normativa prevede invece la liceità dello stabilirsi di un negozio giuridico tra chi offre un servizio e chi lo paga attraverso la cessione delle proprie informazioni.
Si tratterebbe di un nuovo paradigma “filosofico” nell’ambito della gestione del dato personale, non più solo considerato come inalienabile estensione della persona ma anche come potenziale strumento di pagamento che ciascuno di noi può (se lo desidera) cedere. L’istituzione di una regolamentazione giuridica del rapporto di cessione configura anche non solo maggiori tutele ma anche maggiori servizi nei confronti del contraente debole (cioè di chi cede il dato).
Allo stesso tempo, è nel riconoscimento per legge di uno status quo e del valore del dato e della sua “cedibilità” che risiede anche il rafforzamento stesso della sua tutela. Anche se la direttiva evita di considerare i dati come una merce ma conferma la loro utilizzabilità come un corrispettivo avente valore commerciale per ottenere determinati servizi.
A questo proposito, si apre poi il capitolo della qualità del dato, ovvero di quantificarne il valore. Quanto vale un nome e un indirizzo; le cessioni saranno permanenti o limitate al periodo di utilizzo del bene o servizio; i dati sono tutti uguali o quello di una persona considerata più qualificata è più prezioso e quindi permette l’accesso a maggiori o migliori servizi?
In prospettiva, potrebbe nascere un mercato estremamente complesso, volubile, non ugualitario, fluttuante e composto di varie ramificazioni e livelli, pertanto sarebbe bene ragionare da subito su questo genere di interrogativi, anche al fine di evitare che le eventuali differenze di valore non incidano anche sulla legittima uguaglianza giuridica di ogni individuo.
Ma le questioni non si fermano qui, e quelle più recenti si aggiungono a quelle di vecchia data.
Nell’universo digitale che viviamo e che contribuiamo ad alimentare ogni giorno, infatti, scambiamo costantemente dati: dai social network, ai navigatori, dai pagamenti ai video giochi eccetera. È arrivato il momento di sviluppare anche in Italia una vera e propria economia del dato basata su progetti, strumenti e competenze in grado di incrementare notevolmente la nostra capacità non solo di resilienza ma anche di ripresa e sviluppo economico.
Errare è umano ma perseverare è diabolico e tale sarebbe se non cercassimo di utilizzare i dati nazionali per il bene dell’intero sistema. Senza la capacità di elaborare e governare le informazioni e senza una programmazione consapevole almeno di medio periodo, ogni attività economica è destinata ad essere al minimo depotenziata o a non avere alcun successo.