Negli ultimi anni, la normativa fiscale italiana applicata alle criptovalute ha vissuto una fase di trasformazione significativa, accompagnata da incertezze e fraintendimenti. Alcuni cambiamenti sono stati introdotti dal legislatore attraverso leggi specifiche, mentre altri sono il frutto di interpretazioni differenti da parte degli organi fiscali, in particolare dell’Agenzia delle Entrate. Un esempio evidente di questa confusione riguarda la soglia dei duemila euro prevista per le plusvalenze derivanti dalle attività in cripto. Inizialmente era considerata una soglia oltre la quale si tassava l’intero guadagno. Solo di recente, però, è stata ufficialmente riconosciuta come una franchigia, il che significa che solo l’eccedenza oltre i duemila euro è realmente soggetta a tassazione.
Questo chiarimento è arrivato con una risposta pubblicata dall’Agenzia delle Entrate il 30 aprile 2025, tramite una FAQ rivolta ai contribuenti che hanno compilato i modelli 730 e Redditi PF per il 2025. La spiegazione specifica che, nel calcolo dell’imposta sostitutiva sulle plusvalenze cripto del 2023, si deve prima sottrarre la franchigia di duemila euro dall’ammontare complessivo dei profitti ottenuti, come si legge su moneyviz.it.
Tuttavia, nella dichiarazione dei redditi 2024 – relativa all’anno fiscale 2023 – questa possibilità non era prevista tecnicamente. Per questo, molti cittadini si sono ritrovati a pagare imposte più alte del dovuto. Ora, grazie alla nuova interpretazione, è possibile presentare una richiesta di rimborso per recuperare l’importo pagato in eccesso. Ma la procedura non è automatica: ogni contribuente interessato dovrà attivarsi personalmente, raccogliere i documenti richiesti e inoltrare l’istanza all’Agenzia.
A denunciare per primi questa ambiguità normativa sono stati MoneyViz e Coinlex, che già a febbraio 2025 avevano segnalato l’incoerenza tra le istruzioni relative agli anni 2023 e 2024. Secondo la loro analisi, questa doppia lettura ha portato a una disparità di trattamento tra contribuenti in situazioni analoghe ma in periodi differenti. Il problema è stato anche sottoposto al Ministero dell’Economia e delle Finanze, e affrontato in un approfondimento pubblico con la partecipazione di alcuni esponenti politici, tra cui gli onorevoli Centemero e Coppo.
La mancata chiarezza normativa ha creato confusione e sfiducia, mettendo in difficoltà chi ha agito in buona fede seguendo istruzioni ufficiali che oggi risultano superate. In più, l’attuale posizione dell’Agenzia non prevede una procedura semplificata o automatica per ottenere il rimborso, e non offre nessun tipo di compensazione per l’errore d’interpretazione avvenuto nel 2023.
MoneyViz, con il supporto di Coinlex, ha messo a disposizione un modulo gratuito per facilitare l’invio della domanda di rimborso. Questo strumento permette ai contribuenti di compilare facilmente la documentazione necessaria, firmarla e inviarla via PEC, posta raccomandata o consegna diretta presso l’ufficio territoriale dell’Agenzia delle Entrate. La documentazione da presentare comprende il modulo compilato, un documento d’identità e, facoltativamente, una copia del modello F24 utilizzato per il versamento dell’imposta.
La legge prevede un tempo massimo di novanta giorni per ricevere risposta alla richiesta. Se l’Agenzia non risponde entro tale termine, si considera che abbia rifiutato la domanda (silenzio-rifiuto), lasciando al contribuente la possibilità di ricorrere alla Commissione Tributaria Provinciale entro 60 giorni.
Si stima che i rimborsi possano ammontare a circa quattordici milioni di euro complessivi, a dimostrazione del fatto che l’impatto economico dell’errore non è affatto marginale. Questo episodio evidenzia quanto sia fondamentale che l’amministrazione fiscale agisca con maggiore trasparenza e responsabilità, applicando le norme in modo coerente e non lasciando i contribuenti disorientati o penalizzati da interpretazioni mutevoli e tardive.