PwC Strategy& ha presentato lo studio “A New Defense Paradigm: Toward the Creation of a Common European Defense”. Il Report descrive l’attuale situazione macroeconomica e identifica i principali fattori che determinano la necessità di una difesa europea comune. L’analisi comprende un focus specifico sul recente fenomeno degli attacchi informatici ed esplora, inoltre, le potenziali opportunità e i benefici derivanti da un piano di difesa comune e approfondisce le implicazioni per la catena del valore, indicando casi pratici che dimostrerebbero le esternalità positive sulla difesa.
Cesare Battaglia, partner PwC Italia, Aerospace Defense & Security leader commenta: “L’attuale scenario geopolitico segna un punto di svolta per la sicurezza dell’Europa, con i teatri operativi che si sono spostati ai confini dell’Unione e il mutamento delle geometrie delle alleanze internazionali, mettendo di fatto fine all’era del ‘Peace Dividend’. Oggi questa dinamica non è più sostenibile. Il quadro globale è in rapida evoluzione: le alleanze si stanno ridefinendo e gli Stati Uniti non hanno più lo stesso interesse strategico a garantire la sicurezza dell’Europa con investimenti e sovvenzioni come in passato”.
“Di fronte a queste nuove sfide – aggiunge – l’Europa deve ripensare in modo strategico la propria spesa per la difesa, adottando misure straordinarie che abbiano un impatto immediato e promuovano un incremento degli investimenti da parte dei singoli Stati membri e delle istituzioni europee. Ma non basta aumentare i budget: è fondamentale adottare un approccio più integrato e innovativo nell’utilizzo delle risorse, superando inefficienze e frammentazioni che oggi indeboliscono la capacità di risposta comune”.
Per comprendere la situazione attuale della difesa europea è necessario fare riferimento alla costante diminuzione della spesa militare in percentuale del PIL che si è registrata dal secondo dopo guerra a oggi. Se nel 1960 la maggior parte dei Paesi europei destinava il 4% del proprio PIL alle spese per la difesa, nel 2020 la percentuale è scesa fino all’1,5%.
L’attuale panorama geopolitico ha sollevato importanti preoccupazioni per la sicurezza globale. La dipendenza dall’approvvigionamento da fornitori esterni da parte dell’Europa, in particolare dagli Stati Uniti, ha evidenziato l’impreparazione dell’industria della difesa europea.
La sicurezza è diventata una priorità per i governi europei, con la Germania che ha stanziato un fondo straordinario per il riarmo da cento miliardi di euro e la Francia prevede un incremento del 40% del budget militare tra il 2024 e il 2030. Complessivamente, in Europa, la spesa per la difesa nei Paesi NATO è destinata a crescere tra il 53% e il 65% nei prossimi anni. Tuttavia, l’Unione europea rimane fortemente dipendente dagli Stati Uniti, che coprono oggi il 70% della spesa totale della NATO, lasciando il continente in una posizione di vulnerabilità e dipendenza strategica.
Gli Stati Uniti chiedono oggi ai Paesi europei di assumersi una maggiore responsabilità per la propria sicurezza, in un’ottica di condivisione degli oneri. Questo principio si basa sull’ambizione di creare un quadro di difesa europeo coeso e capace, che consenta agli stati membri dell’Ue di affrontare collettivamente sfide di sicurezza, migliorare la loro prontezza operativa e garantire l’autonomia strategica dell’Europa, con l’obiettivo finale di rafforzare il ruolo dell’Ue all’interno della NATO, sviluppando al contempo la capacità di agire in modo indipendente quando necessario.
La decisione dell’Unione europea di avviare il programma “Rearm Europe” rappresenta un passo fondamentale verso una maggiore autonomia strategica per il continente. Con un investimento complessivo di 650 miliardi di euro, il piano risponde alle attuali sfide di sicurezza. La cooperazione industriale, l’innovazione tecnologica e l’incentivazione della produzione interna sono elementi chiave che permetteranno all’Europa di ridurre la sua dipendenza dalle potenze esterne e di affrontare le minacce globali con maggiore determinazione.
Oltre alle minacce convenzionali, aumentano quelle derivanti dalle guerre ibride, con attacchi informatici alle infrastrutture critiche, la diffusione di disinformazione e propaganda per manipolare l’opinione pubblica. Le minacce derivanti da questa strategia sono molteplici e coinvolgono frequentemente sia attori statali sia non statali. Il cyberattacco del 2022 ai satelliti Viasat, i sabotaggi ai gasdotti nel Mar Baltico e l’aumento delle minacce informatiche dimostrano l’urgenza di una risposta coordinata.
Le leve strategiche per una difesa comune europea
Per costruire un’efficace strategia di difesa europea sono quattro le priorità chiave:
- Allineamento politico e strategico: evitare frammentazione e ritardi decisionali con un maggiore coordinamento tra gli Stati membri
- Procurement congiunto: attualmente l’Europa utilizza 172 sistemi d’arma diversi, contro i trentadue degli Stati Uniti. Standardizzare gli equipaggiamenti migliorerebbe l’interoperabilità e ridurrebbe i costi
- Armonizzazione degli standard militari: uniformare dottrine e procedure per facilitare la cooperazione tra forze armate europee
- Collaborazione industriale: rafforzare la base industriale della difesa per migliorare innovazione e competitività
A supporto di questa integrazione, strumenti come il Fondo Europeo per la Difesa (EDF), con un budget di quasi otto miliardi di euro per il periodo 2021-2027, e iniziative come PESCO e ASAP stanno già ponendo le basi per una cooperazione più efficace
Gli ostacoli da superare
Nonostante i vantaggi evidenti, permangono cinque grandi sfide:
- Sovranità nazionale – Alcuni Stati temono di perdere il controllo sulle proprie forze armate
- Ruolo della NATO – Serve maggiore chiarezza nella relazione tra difesa europea e Alleanza Atlantica per evitare sovrapposizioni
- Frammentazione industriale – La duplicazione dei progetti tra Stati riduce efficienza e competitività
- Dipendenza dagli USA – L’Europa deve bilanciare autonomia strategica e cooperazione transatlantica
- Differenze operative e culturali – Le dottrine militari nazionali non sono ancora pienamente integrate
Esperienze di successo e prospettive future
Programmi come Eurofighter Typhoon hanno generato 62mila posti di lavoro e un impatto economico di 58 miliardi di euro. Progetti congiunti come NH-90, FREMM e MALE RPAS confermano che la cooperazione porta benefici concreti. Si stima che una maggiore integrazione potrebbe generare un risparmio di 75,5 miliardi di euro all’anno, eliminando inefficienze e ridondanze, rafforzando l’industria della difesa e creando posti di lavoro altamente qualificati.
Implicazioni di una Difesa Comune Europea
Se gli Stati membri dell’Ue saranno in grado di soddisfare i requisiti necessari e superare le principali difficoltà, potrebbe finalmente essere istituita una Difesa Europea Comune, supportata da risorse economiche e strategiche significative, con vantaggi sostanziali per i Paesi partecipanti:
- Efficienza economica e risparmio – i Paesi dell’UE potrebbero razionalizzare la spesa e sfruttare le economie di scala
- Interoperabilità – l’armonizzazione di equipaggiamento, procedure e formazione tra gli Stati Membri migliorerebbe il coordinamento e l’efficienza durante operazioni militari congiunte
- Autonomia strategica – l’istituzione di una difesa comune garantirebbe all’Ue una maggiore indipendenza strategica dalle alleanze esterne, rafforzando così il ruolo nello scenario geopolitico internazionale
- Consolidamento industriale – la definizione di politiche di approvvigionamento comuni promuoverebbe innovazione e competitività globale per le imprese
- Sicurezza e tecnologie avanzate – la condivisione di risorse e competenze impatterebbe anche nello sviluppo di tecnologie all’avanguardia che avvantaggiano sia le forze dell’Ue sia quelle della NATO
- Integrazione politica – lavorare insieme sulle strategie di difesa e sicurezza consentirebbe ai paesi membri di sviluppare legami più stretti, promuovendo un clima di coesione che potrebbe giovare all’agenda politica complessiva
Cesare Battaglia, partner PwC Italia, Aerospace Defense & Security Leader, conclude: “Il costo della ‘Non-Europa’ nel settore della difesa è evidente: oggi, la frammentazione nei sistemi d’arma fa sì che l’Europa utilizzi 172 diversi modelli, contro i 32 degli Stati Uniti, con un aumento dei costi e una minore interoperabilità. La duplicazione degli investimenti costa all’UE circa 75,5 miliardi di euro all’anno, risorse che potrebbero essere reindirizzate verso programmi più efficienti e strategici. Un’Europa della difesa più coesa potrebbe garantire una spesa più efficace, un’industria della difesa più competitiva e, soprattutto, una maggiore sicurezza per tutti i cittadini europei. Il tempo per agire è ora”.