Millennial e dintorni, fino alle nuove generazioni, siamo cresciuti tutti col mito di quella che era stata definita “generazione Erasmus”, un simbolo che significava più di tanti altri il nuovo corso di pace e comunione culturale dell’Europa unita. Il progetto Erasmus è stato spesso sottovalutato nella sua portata educatrice capace anche di creare un comune sentimento nelle giovani generazioni alle quali oggi è consentito muoversi liberamente in tutto il territorio dell’Unione, senza più frontiere mentali prima ancora che geografiche.
Eppure, c’è chi vorrebbe fare un passo indietro, stando almeno a quanto sarebbe possibile a seguito di una delle conseguenze della Brexit.
Con una decisione presa nella notte tra l’8 e il 9 gennaio, infatti, il Parlamento britannico ha votato – 344 a 254 – contro l’emendamento “New Clause 10” del disegno di legge, presentato dalle opposizioni, che, qualora fosse passato, avrebbe imposto al governo britannico di continuare a negoziare la piena appartenenza del Regno Unito al programma Erasmus+ anche dopo il 2020, quando finirà l’attuale ciclo già finanziato e soprattutto quando Londra uscirà dall’Ue.
Una votazione che aggiunge un ulteriore forte elemento di rottura nell’ambito della già shoccante decisione del Regno Unito di abbandonare l’Unione Europea e che non trova i favori della nomenklatura degli altri paesi UE, secondo i quali un conto è la politica un conto sarebbe spezzare quella sorta di “entent cordiale” culturale che ha fatto maturare numerose generazioni di giovani studenti europei.
Tuttavia, però, ciò non significa che l’UK abbandoni il sistema di scambio tra studenti tout court.
Secondo il sottosegretario all’Istruzione e parlamentare conservatore Chris Skidmore, invece, “il voto non significa la fine della partecipazione del Regno Unito al programma Erasmus+ dopo che avremmo lasciato l’Ue. Ne parleremo nei futuri negoziati con l’Ue. Abbiamo grande stima dello scambio internazionale di studenti”.
Da quanto sembrerebbe, quindi, non si tratta di una chiusura definitiva quanto di una sospensione del progetto in essere che dovrà essere a sua volta riconsiderato alla luce delle nuove condizioni dell’accordo UE – UK. Erasmus+ è il principale programma per i giovani dell’Unione Europea, che prevede esperienze di scambio e opportunità di lavoro co-finanziate dal budget europeo. Dalla sua nascita, circa trent’anni fa, ha coinvolto circa 9 milioni di persone e nell’ultimo bilancio pluriennale comunitario – che va dal 2014 al 2020 – è stato finanziato con 14,7 miliardi di euro.
L’intento del governo britannico è quello di fare tabula rasa di tutti gli accordi sottoscritti tra la Comunità e l’Unione europea nel corso del tempo e di ricominciare con degli accordi bilaterali tutti ancora da vedere. E’ chiaro che molto dipenderà dal tipo di rapporto che intercorrerà tra le due istituzioni una volta che sarà avvenuta la separazione.
Nel frattempo, mentre in Inghilterra proseguono voti e contatti per la brexit, la Scozia ci riprova e tramite un disegno di legge presentato dalla premier Nicola Sturgeon pone le basi nuovamente l’accento sulla questione, richiedendo un secondo referendum per la secessione. Nei giorni scorsi, si è tenuta a Edimburgo anche una grande manifestazione a favore dell’indipendenza sospinta da un vento che, rispetto al referendum del 2014, soffia anche sospinto dalla brexit stessa.