Creare un’infrastruttura fondata sulle nuove tecnologie per accogliere chi viaggia in Italia non sarà facile. Occorre stabilire chi governa i dati e come va usata l’intelligenza artificiale. Ma soprattutto il sistema ospitale non deve essere gestito solo dai grandi player del settore. C’è molta strada da fare
di Antonio Preiti
Il termine Turismo 4.0 è meraviglioso, perché promette di portare il sistema ospitale sulla lunghezza d’onda dell’industria 4.0, un mondo che promette molto e mantiene ancor di più: non si potrebbe essere più felici.
C’è il Piano nazionale di ripresa e resilienza che prevede la formazione, appunto, di un hub del turismo 4.0, per realizzare un’infrastruttura fondata sulle nuove tecnologie e sulla comprensione dei nuovi comportamenti collettivi. Per il turismo, fermo per oltre 18 mesi, è come uscire da una guerra mondiale, però con un mondo pronto da realizzare. Più felici di così?
Bisogna allora vedere esattamente cos’è un hub 4.0 del turismo: qual è la sua natura e per quali ragioni è fondamentale per il nostro sistema ospitale. I titoli non bastano e il turismo è perennemente dominato dai titoli. Non abbiamo bisogno di titoli. Entriamo perciò nel merito della questione, per scongiurare il pericolo che l’investimento si riveli inutile, o peggio: che sia l’occasione mancata più importante degli ultimi vent’anni.
Facciamo un passo di lato prima di entrare nel cuore del tema. Il passo di lato è il senso della dimensione 4.0, cioè della quarta rivoluzione industriale. In breve, significa far parlare le macchine tra loro senza l’intervento diretto e costante dell’uomo, creando uno scambio di informazioni governato dalle macchine stesse, sostenuto da un sistema in cui le macchine imparano da sole (machine learning) e di anticipare, con metodi di calcolo automatico sofisticati, l’andamento dei mercati, principalmente attraverso modelli di conoscenza dei comportamenti di vacanza.
Si tratta di un salto di scala, non di un semplice miglioramento dello stato attuale delle cose.
Il punto centrale, per non sbagliare del tutto la prospettiva del nuovo sistema, è che i dati non servono in quanto tali, non sono semplicemente nice to know, un sapere per il sapere, un registrare ex-post i fenomeni, ma per mettere a disposizione dei nostri ospiti (quelli che con linguaggio comune chiamiamo turisti) strumenti familiari e facili per dar loro soggiorni migliori, più soddisfacenti, rispondendo alle loro aspettative non in astratto, ma in maniera personalizzata, cioè a ogni singolo ospite.
Se ho nella mente e nel cuore attese e speranze per il mio viaggio, ho bisogno di sapere le informazioni sul mio programma, sulle mie attese, sulle mie speranze, e non in generale. L’informazione senza le caratteristiche di personalizzazione, è pressoché inutile. O meglio, l’abbiamo già, e senza alcun costo: basta Google.
Abbiamo poi bisogno di un’informazione non statica, cioè non di liste che non cambiano (lista degli alberghi, lista dei ristoranti, lista dei musei); non abbiamo bisogno dell’elenco telefonico digitale, anziché cartaceo, ma di informazioni aggiornate in tempo reale da parte dei player del nostro sistema ospitale (albergatori, ristoratori, artigiani, organizzatori di eventi, ecc.).
Insomma, un sistema vivo che metta in relazione i singoli ospiti con i singoli operatori.
Il marketing della nuova frontiera è appunto il marketing 4.0, cioè il marketing relazionale. Oggi su ogni mercato (da Ikea alla Tesla) vince chi ha un rapporto vivo, costante, relazionale appunto, con i suoi clienti. L’informazione statica, univoca, autoreferente è un residuo del passato. Se non c’è relazione, non c’è ingaggio, e tutti sappiamo quanto l’ingaggio degli ospiti sia il vero capitale per una destinazione turistica. Su questo possiamo essere un modello per il mondo, abbiamo una prateria davanti, perché nessuno è ancora arrivato a questa frontiera.
Bisogna trovare il modo industriale (stiamo parlando di turismo 4.0, vero?) per distribuire una informazione indipendente, libera, vera che coinvolga anche il più piccolo artigiano, il più piccolo evento e la più piccola attività creativa di chi ogni giorno s’inventa un modo nuovo di generare interesse verso la propria destinazione.
Ad esempio, se potessero comunicare le loro esigenze con il linguaggio naturale, e non mettendo le spunte su un modulo già dato, sarebbe meglio; se ci fosse una tecnologia semantica (che c’è, è ipersofisticata, italiana ed è già disponibile) che estragga emozioni e bisogni da un testo espresso appunto con linguaggio naturale, addirittura solo vocale, potremmo dare a ciascun ospite una risposta personalizzata, non presentare una lista come risposta.
Se nell’industria 4.0 la tecnologia non servisse a fare prodotti migliori, non sarebbe adottata. Per il turismo è lo stesso: se non migliora l’esperienza dei nostri ospiti a che serve?
Dati, tecnologie, infrastrutture, oltre che a rendere migliore l’esperienza del viaggio e del soggiorno nel nostro paese, devono servire anche ad affrontare un problema cruciale della nostra industria dell’ospitalità: l’indipendenza dai grandi player globali. Non indipendenza assoluta, che è impossibile; ma almeno non dipendenza assoluta, che è possibile.
Se un albergo vende solo se è presente sui grandi player come Booking o Expedia (e se questo albergo paga una fee del 18/20%), diventa dipendente da quel sistema; se le colonnine di un produttore di energia non sono presenti sulle mappe di Google, allora quelle colonnine è come se non esistessero; se si vuole evitare l’overtourism, ma non si scongiura il meccanismo del clickbait, che porta tutta l’attenzione sui siti più famosi, allora non lo si eviterà, anzi ne sarà alimentato.
In sostanza, abbiamo bisogno che il sistema ospitale nazionale non abbia una situazione pressante, e, in prospettiva, asfissiante, determinata dal controllo assoluto dell’informazione da parte dei big player globali.
L’infrastruttura che dobbiamo costruire deve avere una logica e una tecnologia che ci devono portare, per quanto realisticamente possibile, lontano da questa trappola, altrimenti finiremo con lo stringere la trappola anziché allentarla. Questo aspetto è decisivo per il nostro sistema ospitale, altrimenti saremo i produttori decentrati di servizi turistici i cui quartieri generali, che definiscono i prezzi, la visibilità delle destinazioni e la comunicazione saranno altrove.
I dati sono la materia grezza fondamentale nell’era dell’informazione, come la terra ai tempi dell’agricoltura e come l’acciaio nell’era industriale. Durante l’era dell’agricoltura erano fondamentali le regole della terra (proprietà, mezzadria, ecc.); durante l‘era industriale le regole del lavoro (durata della giornata, salario, e poi welfare); nell’era dei dati è fondamentale stabilire chi governa e gestisce i dati.
Nel turismo comanda chi possiede e gestisce le informazioni. E gestire le informazioni è la cosa meno neutra di questo mondo. La festa della tecnologia – perché è una meravigliosa festa – non deve nascondere il potere che c’è dentro: creare una infrastruttura che, accanto a tutto il bene che può portare al turismo italiano sulla promozione, finisca con il riversare sui grandi player tutto il flusso di tracciamento dei comportamenti, è come far fare le regole agli altri. Non è una buona idea.
Dobbiamo vedere l’universo digitale non solo nei termini neutrali di informazione, tecnologie e servizi, ma anche in termini di flussi di potere, di geopolitica persino. Oggi chi ha i dati ha il potere, anzi più esattamente chi usa l’intelligenza artificiale ha il potere. Perciò non è molto sensato consegnare tutta l’intelligenza che si ricava dal tracciamento di ogni atto nel turismo (ispirazione, informazione, prenotazione, pagamento, comportamenti in tempo reale nella destinazione, commento ex post) ai big player come Booking, Expedia, CTrip, ecc. che già di loro hanno montagne di dati e tecnologie acuminate per elaborarle e utilizzarle sul mercato ai loro fini.
Torniamo però al nostro singolo ospite, a cui dobbiamo dedicare cura e attenzione, perché il turismo, a differenza dell’industria, non è high tech-low touch, ma dev’essere allo stesso tempo high-tech e high-touch.
Il servizio, o quella che possiamo definire furtiva complicità tra ospite e ospitante, stanno sempre alla base del successo nell’ospitalità, qualunque sia il contesto tecnologico. Ecco, il nostro punto cruciale e distintivo è quello di incorporare la tecnologia dentro la nostra tradizione di ospitalità: tanta tecnologia decentrata per dare l’informazione giusta, e creare una relazione diretta tra operatore e ospite, e tanta empatia nella gestione del servizio.
Siamo una società decentrata nella sua storia e quasi nella sua natura: abbiamo una tradizione storica dei comuni; non abbiamo una sola ricetta che non abbia varianti locali; non esiste un albergo uguale all’altro, e non esiste una ospitalità uguale all’altra, perché c’è sempre un’impronta familiare, locale, identitaria che ci si presenta davanti e di cui andiamo fieri.
La tecnologia tende a centralizzare, a standardizzare, a rendere tutto eguale; alla fine, il nostro sogno, il carattere da dare (mantenere) alla nostra ospitalità è tutto qui: nel mantenere la varietà dentro, con e per mezzo della tecnologia, e non per perderla. Se ci riusciremo saremo unici, nessuno ci potrà assomigliare né per la tecnologia, né tantomeno per l’ospitalità.