Oggi, il tema dell’intelligenza artificiale non è solo al centro dell’agenda pubblica ma è letteralmente uno dei più dibattuti, dai social alla tv, dai teatri politici alle tavole rotonde. Certamente, tutta questa attenzione non dovuta solo al fatto che ormai l’argomento è divenuto in larga parte mainstream ma soprattutto perché sono divenute più evidenti le potenzialità di questa tecnologia, tali da essere ancora in buona parte inesplorate e capaci di espandere ulteriormente i suoi confini. Una cosa, però, va capita per prima: l’onda dell’intelligenza artificiale è una moda passeggera o è destinata a rimanere? La rapidità con cui le tecnologie digitali avanzano, infatti, è capace di portare alla ribalda determinati temi molto velocemente; tanto che spesso non si fa nemmeno in tempo a comprenderli davvero prima che passino di moda. Un po’ come è successo con il Metaverso, prima sulla bocca di tutti e ora secondo alcuni persino morto. Ebbene, ritengo però che la differenza di fondo risieda nel fatto che l’IA rappresenta uno dei temi striscianti che da decenni (chiaramente a fasi alterne) appassionano studiosi, tecnici, religiosi e romanzieri, essendo ormai entrato nella nostra coscienza collettiva.
L’ovvio risvolto della medaglia di questo fenomeno è che tutti ne parlano ma anche che molti non siano competenti a farlo. L’Italia ha deciso di puntare sulla IA, lo confermano i dati dell’Osservatorio del Politecnico di Milano secondo i quali il mercato dell’Intelligenza Artificiale in Italia ha raggiunto nel 2022 i 500 milioni di euro, con una crescita del 32%, la più alta mai registrata dal 2018, ma lo testimonia ancora più plasticamente il fatto che l’Esecutivo stesso ha deciso di puntarci fortemente, anche con la definizione del Comitato di Coordinamento per l’aggiornamento della strategia nazionale voluto dal Sottosegretario Alessio Butti. Ad ulteriore conferma della centralità dell’IA per il nostro Paese è arrivata anche la recente conferma del Ministro Urso il quale ha dichiarato che nel 2024 l’Italia sarà il primo Paese a normare l’IA in totale conformità con AI Act europeo. L’Italia intende quindi collocarsi come “Paese guida” a livello europeo sull’intelligenza artificiale, ma la stessa Europa può considerarsi “rilevante” nel contesto internazionale se paragonata ai soliti noti giganti come Cina, USA e India? Le cifre al momento condivise dalla Commissione Europea, in realtà, sembrerebbero promettere bene. La Commissione, infatti, prevede di investire circa un miliardo di euro all’anno nell’IA grazie ai programmi Europa digitale e Orizzonte Europa, con l’obiettivo di attrarre oltre 20 miliardi di euro di investimenti totali annui in intelligenza artificiale in questo decennio. L’idea poi è quella di produrre oltre il 25% di tutti i robot destinati a livello personale a livello globale. Insomma, le premesse sembrerebbero allettanti anche se, appunto, difficilmente comparabili con le cifre degli altri Paesi. Secondo le previsioni, l’investimento cinese nell’AI raggiungerà un importo di 26,7 miliardi di dollari entro il 2026. Si stima che questo investimento rappresenti circa l’8,9% dell’investimento globale nell’AI, posizionando la Cina come la seconda destinazione mondiale per gli investimenti nel settore. Questi dati riportano l’UE con i piedi per terra. Va tenuto conto del fatto che l’UE, anche in questo particolare settore dell’economia digitale, ha dei limiti intrinseci tutt’ora non risolti. Per prima cosa, non disponiamo di nessun big player digitale realmente competitivo a livello internazionale. Per intenderci, non disponiamo né di una Microsoft, né di una OpenAI o dei loro corrispettivi cinesi. A causa di tale situazione, l’Europa non ha neanche capacità di sviluppare particolari economie di scala nel settore digitale (sempre a paragone dei principali competitor). In aggiunta a questo, anche la competitività digitale media delle imprese e dei cittadini europei è piuttosto disomogenea se paragonata a quella di USA e Cina. I Paesi nordici rappresentano delle eccellenze, soprattutto quanto alle competenze digitali dei loro cittadini; tuttavia, è difficile ad oggi che possa riproporsi un “fenomeno Nokia” su scala globale. Inoltre, sempre a proposito di disomogeneità nelle competenze, è più difficile che in paesi ancora “digitalmente immaturi”, come ad esempio l’Italia, possano nascere le condizioni per lo sviluppo di eccellenze globali in ambito IA: sarebbe come pensare che da un terreno ancora non del tutto seminato possa crescere un raccolto miracoloso…
Ma quindi tanto vale anche provarci? Direi di no. Se è vero che l’Italia e l’Europa non godono delle caratteristiche necessarie per essere effettivamente dei punti di riferimento globali in ambito IA, è vero anche che possono rappresentare delle eccellenze in determinati settori di essa e porsi in ogni caso come attori e partner autorevoli con cui è bene confrontarsi. Inoltre, proprio dando seguito all’”antica” esigenza europea di stabilire una propria indipendenza economica, politica e tecnologica rispetto agli USA, ogni sforzo rivolto al miglioramento delle competenze in intelligenza digitale è un passo in avanti verso questo obiettivo.
Siamo letteralmente ad un punto di svolta, ben vengano quindi gli atti regolamentari, gli investimenti e i gruppi di esperti (nazionali ed internazionali) perché l’intelligenza artificiale è la tecnologia del futuro oggi e noi tutti dobbiamo farci trovare pronti.