di Paolo Ravasi
Parto per questa riflessione dalla mia esperienza personale di consumatore. Nel mercato del quartiere dove vivo c’è un banco di frutta e verdura con ottimi prodotti. I due giovani proprietari, marito e moglie, sono simpatici e gioviali, e hanno una clientela fedele e numerosa, perciò succede spesso di fare la fila per acquistare al loro banco. Giorni fa ero appunto in fila, senza ombrello sotto una pioggerella fastidiosa, e la mia “umida” attesa si è protratta più del necessario perché due delle tre persone che mi precedevano hanno pagato con banconote da 50€, e non c’erano in cassa le banconote del taglio giusto per dare il resto. Allora il gestore ha prima rovistato nel proprio portafoglio e nella borsa della moglie e ha poi abbandonato il banco per andare a cambiare la banconota da 50€ in un bar vicino. Arrivato finalmente il mio turno, dico alla proprietaria “ci vorrebbe un bel POS”. E lei, taac, estrae da sotto al banco un piccolo POS tascabile di nuova generazione, molto pubblicizzato in questi giorni in tv, e mi consente di pagare in pochi secondi, con estremo sollievo anche dei clienti in fila dopo di me.
Ma santo cielo, hai uno strumento che ti consente di ridurre i tempi di attesa dei clienti e di soddisfarli più velocemente (soprattutto se piove e non hanno l’ombrello), di non avere il fastidio della gestione dei resti, di riconciliare più agevolmente la tua contabilità e che cosa fai? Lo tieni nascosto sotto il bancone, senza neanche un cartello, un adesivo, un cavalierino da banco che indichi che le carte sono accettate! Ma perché?
Sappiamo bene che questo non è questo un caso isolato, soprattutto tra i piccoli esercenti dei settori merceologici con elevata frequenza di spesa e scontrino medio di basso valore. Gli operatori della grande distribuzione organizzata hanno capito da tempo che il POS deve essere visibile, accessibile, rivolto verso il cliente e facilmente utilizzabile senza l’intervento del venditore, ma nel commercio al dettaglio quante volte vediamo POS seminascosti, lontani dal cliente, o nel migliore dei casi accessibili solo con il passaggio di mano della carta e il necessario intervento del venditore nell’operazione di pagamento? Si parla tanto in questi giorni dell’arretratezza del sistema dei pagamenti italiano, ancora largamente basato sul denaro contante, e delle misure governative necessarie per favorire la crescita dei pagamenti elettronici e digitali, con i conseguenti benefici per le entrate fiscali. Ben vengano le lotterie degli scontrini, ben vengano le detrazioni fiscali, ben vengano le sanzioni a chi non si adegua. Ma tutte queste misure avranno una portata limitata se non avviene una vera rivoluzione “culturale” per cambiare l’atteggiamento dei piccoli esercenti nei confronti dei POS. Per fare questa rivoluzione gli acquirer, le banche, insomma gli operatori che vendono il servizio POS, devono focalizzare i loro sforzi sulla vendita e sulla comunicazione del servizio. Non basta vendere il POS, ma bisogna lavorare sulla consapevolezza dei piccoli esercenti sui benefici che i POS possono portare alla loro attività. Bisogna fare in modo che gli esercenti smettano di considerare il POS un male necessario, una seccatura di cui è necessario dotarsi ma che poi meno la si usa meglio è. Il POS deve diventare qualcosa che l’esercente non può fare a meno di avere e, soprattutto, di far utilizzare ai propri clienti.
Ci sono tutte le condizioni perché questa rivoluzione possa avvenire. Le statistiche di Banca d’Italia dicono che nel nostro paese circolano oltre 98 milioni di carte di debito, credito e prepagate. Chiunque abbia un conto corrente bancario possiede quanto meno una carta di debito, e moltissimi non bancarizzati hanno a disposizione carte prepagate, di cui l’Italia è uno dei principali paesi emittenti al mondo. Non si può quindi dire che questo cambiamento vada a beneficio solo di una ristretta élite di clienti abituati ad utilizzare la loro carta di credito per i loro acquisti; al contrario, questo cambiamento interessa tutti, nessuno escluso. La tecnologia contactless ha semplificato notevolmente l’utilizzo del POS, trasformandolo da strumento azionato dall’esercente a strumento azionato direttamente dal cliente, accessibile, veloce e facile da usare, senza necessità di strisciare la banda magnetica o inserire il chip in una fessura. Inoltre, questo strumento sta cambiando, diventando “smart”, un terminale intelligente in grado di rispondere alle diverse esigenze di diverse tipologie di merchant di qualsiasi settore, e di offrire soluzioni digitali in grado sia di migliorare l’esperienza del cliente che di semplificare l’attività dell’esercente, offrendogli servizi a valore aggiunto per la gestione della sua attività commerciale. Alcuni modelli di smart POS offrono anche la funzionalità di registratore di cassa, già conforme alle recenti normative che hanno introdotto l’obbligo di scontrino elettronico per tutti gli esercizi commerciali a partire da luglio 2020, rendendo di fatto superfluo per l’esercente dotarsi di un registratore elettronico, con un notevole risparmio di costi.
Quindi, dov’è il problema? Il problema è che quando si discute di queste tematiche al di fuori della cerchia degli addetti ai lavori, il tema centrale è sempre il costo per l’esercente. Il costo in assoluto, e non in relazione ai benefici. Ho assistito negli ultimi mesi ad alcuni focus group con piccoli esercenti per una ricerca di mercato che aveva lo scopo di testare proprio l’introduzione di un nuovo servizio di smart POS sul mercato e la prima domanda dei partecipanti era, 9 volte su 10, “bello, ma quanto costa?”. Sempre nello stesso periodo ho partecipato a due incontri con una associazione di categoria di un settore merceologico ancora fortemente legato ai pagamenti in contanti, con lo scopo di promuovere un’iniziativa per favorire l’introduzione dei pagamenti digitali in quel settore. Ancora una volta, l’iniziativa non è decollata per un tema legato ai costi del POS. Posso comprendere questo atteggiamento in un piccolo esercente costretto a far quadrare i conti in una congiuntura economica sempre più difficile, ma non lo giustifico quando l’interlocutore è qualcuno che dovrebbe essere in grado di fare un’analisi corretta dell’argomento. La verità e che nel nostro paese c’è una bassissima percezione del costo del contante ed un’errata percezione del costo dei pagamenti digitali, che oltretutto non vengono mai correlati ai benefici che portano agli esercenti. Ma il dibattito si concentra sempre e solo sui costi dei pagamenti digitali, quasi come fosse una colpa per gli operatori di questo settore richiedere la remunerazione di servizi che richiedono investimenti tecnologici considerevoli e che hanno un tasso di innovazione elevatissimo. Inoltre, gli organi di informazione diffondono spesso rapporti che, lungi dal fare chiarezza, sparano cifre a caso e fanno tanta confusione invece di analizzare correttamente la questione ed informare correttamente il pubblico. Al contrario, i confronti internazionali dimostrano che la maggiore onerosità dei servizi di acquiring in Italia rispetto ai paesi dove i pagamenti elettronici sono più diffusi è, dati alla mano, una fake news. Non solo, ma è anche da sottolineare il notevole sforzo che molti operatori del settore stanno facendo per introdurre formule innovative di pricing, soprattutto per i pagamenti inferiori a €10, per rendere più attraente la proposizione di valore per i piccoli esercenti. Qual è la strada da percorrere, dunque? Lavorare sull’ultimo miglio, cioè sul processo di comunicazione e di vendita del servizio POS verso il piccolo esercente, soprattutto da parte degli operatori bancari tradizionali, che sono ancora il canale di commercializzazione preponderante nei confronti degli operatori della piccola distribuzione. Occorre saper dimostrare concretamente al piccolo esercente che il POS è uno strumento che migliora il processo di vendita, che aiuta nelle attività contabili e fiscali, che offre maggior sicurezza sia a chi vende che a chi compra, e che costa meno del contante. Che avere un POS e soprattutto farlo usare il più possibile ai propri clienti conviene. Che gestire il contante ha un costo in termini di sicurezza, contabilità, velocità del processo di vendita, igiene. E’ un passo necessario e non procrastinabile, per poter competere con i nuovi entranti in un settore che si fa sempre più competitivo.