Il Web Summit tenutosi nei giorni scorsi a Lisbona è stato aperto da un significativo intervento di Edward Snowden, l’ex analista americano dell’NSA (National Security Agency) che aveva denunciato una sistematica azione di controllo delle istituzioni americane nei confronti dei loro cittadini. In collegamento da Mosca, luogo in cui ancora si rifugia, Snowden ha fatto un appello affinché possa avvenire una riconquista di internet da parte degli utenti, contrapposta a quella che definisce “la legalizzazione dell’abuso sulla privacy”.
L’intervento di Snowden mette l’accento su un tema di grande importanza in quanto il recente rapporto 2019 Freedom on the Net, curato da Freedom House, un’organizzazione indipendente di vigilanza, svela che circa il 90% degli utenti di internet in tutto il mondo sarebbe monitorato.
La classifica stilata dall’ente non governativo in termini di libertà su Internet vede la Cina prima come paese meno libero al mondo. Anche Russia ed Egitto sono risultati “non liberi”. In totale, “l’89% degli utenti di Internet, quasi 3 miliardi di persone” sono sottoposti a programmi di sorveglianza di vario tipo, una cifra enorme e spaventosa che contribuisce a gettare sotto una nuova luce le affermazioni dello stesso Snowden.
Per quanto riguarda, poi, le modalità con cui avviene il controllo, il rapporto sottolinea che “in Iran c’è un esercito di 42.000 volontari che monitora i contenuti online”. E il Partito comunista cinese ha un sistema simile di persone selezionate per analizzare dati e segnalare “contenuti problematici”. In entrambi i paesi non vige esattamente un regime liberale e questa ne è una riprova piuttosto lampante.
Giungendo poi agli Stati Uniti, questi sono considerati “liberi” dalla censura di Internet ma il rapporto non li scagiona in maniera definitiva. In particolare, nel rapporto è citata l’azienda israeliana di cybersicurezza Cellebrite, che ha recentemente siglato un nuovo accordo con l’Immigration and Customs Enforcement (ICE, l’agenzia federale Usa preposta al controllo della sicurezza delle frontiere e dell’immigrazione) la quale disporrebbe di strumenti che permettono con facilità di accedere illegalmente ai telefoni per sottrarre ogni tipo di dati.
Secondo il rapporto, inoltre, “funzionari filippini si sono recati in North Carolina con l’obiettivo di essere formati da personale militare americano per lo sviluppo di una nuova unità di monitoraggio dei social media”.
Stando a quanto emerge da questo report, internet sarebbe quindi un luogo decisamente meno libero di quanto potremmo ritenere.
Secondo il rapporto, infatti, “47 dei 65 Paesi presi in esame hanno compiuto arresti di utenti per contenuti di argomento politico, sociale o religioso”. Una pratica diffusa anche nei paesi considerati liberi. Di conseguenza, il monitoraggio di internet e dei social media sarebbe di norma molto approfondito, al di là della presunzione di legalità di interventi di questo genere.
Le conclusioni del report lasciano un’immagine di internet ben poco romantica ed infrangono, forse definitivamente, il sogno che questo potesse essere un luogo di confronto del tutto libero e privo di alcun tipo di ingerenza governativa. Libero, tuttavia, non significa fuori legge. Va quindi tenuto ben presente che oggi ciò che avviene sul web manifesta effetti tangibili anche sulla vita reale. Di conseguenza, è inevitabile che anche ciò che avviene su internet debba soggiacere a delle norme giuridiche specifiche tese a prevenire eventuali violazioni. Tutto ciò non significa però che non vadano rispettati libertà e riservatezza dei singoli utenti, due priorità fondamentali oggi più che mai.