di Maurizio Pimpinella
Da qualche anno l’offerta di prodotti, servizi e il numero di operatori finanziari si è ampliato a dismisura, ciò ha contribuito spesso ad un certo allentamento della reale capacità di monitorarne l’attività. Un tale ecosistema, positivo sia per la crescita innovativa del settore che per i servizi e l’assistenza offerti ai clienti, rischia però di finire in una spirale di auto-fagocitamento che rischierebbe di comprometterne stabilità, integrità, sostenibilità e rapporto con l’utenza.
I casi distorti, purtroppo, sono all’ordine del giorno. Il più recente riguarda le presunte tangenti che sarebbero state pagate a dieci dipendenti di Leonardo da parte della società fornitrice Trans-Part per acquisire commesse grazie a bandi su misura.
Per il trasferimento di tali fondi sarebbero stati utilizzati i servizi di pagamento anonimizzati di Google. Una questione su cui sta già lavorando la magistratura ma i cui pericoli, forse, avrebbero potuti essere visti già prima.
Altri casi poi– magari per ora meno clamorosi – sono riscontrabili nella quotidianità ogniqualvolta un operatore finanziario con sede all’estero offre i propri servizi anche in Italia e, fondamentalmente, non riusciamo a saperne abbastanza.
Per questo, il primo scopo sia di operatori sia di istituzioni dovrebbe essere quello di agire nella più ampia trasparenza possibile al fine di tutelare la crescita dei pagamenti elettronici, e dei servizi finanziari in genere, intesi come valore per il sistema produttivo italiano ed europeo.
Da queste considerazioni deriva una domanda paradossale e provocatoria che, talvolta, mi faccio e che in questa occasione vorrei estendere anche a chi legge: è sufficiente possedere una licenza bancaria europea che consente di prestare servizi finanziari in tutti i paesi dell’Unione a garantire in toto consumatori, imprese ed istituzioni stesse?
In linea di massima si, tuttavia non sempre e non sempre in maniera sufficientemente penetrante, i regolatori europei riescono a controllare come vengono effettivamente sfruttate le licenze nei singoli paesi e ciò afferisce vari aspetti delle attività tra cui la gestione dei dati degli utenti, la materia fiscale e la tipologia stessa dell’offerta dei servizi, talvolta forzosamente più competitiva.
Anche se il controllore e la normativa europea sono comuni in tutti i paesi dell’Unione, infatti, l’ampiezza, la peculiarità dei diversi operatori coinvolti, i rispettivi modelli di business e, talvolta, la parcellizzazione normativa locale cui comunque sono tenuti ad ottemperare rischia di creare dei dislivelli competitivi che non creano un deficit solo nei confronti delle altre imprese ma anche nei confronti degli stessi consumatori che finiscono coinvolti in uno scontro impari in cui non giocano fondamentalmente alcun ruolo.
Come ovviare a questa condizione? La prima e probabilmente principale iniziativa sarebbe quella di armonizzare le normative locali stabilendo una base comune più ampia e pervasiva, stessa cosa dicasi della possibilità da parte delle singole authority di operare verifiche attive a di ampio spettro.
Per intenderci, il modello da prendere in prestito sarebbe quello che segue i principi di massima della web tax quanto a competenza territoriale. L’idea è quindi che gli operatori stranieri che offrono servizi finanziari in Italia non solo debbano seguire norme e modelli di business comparabili con quelli dei loro concorrenti sul territorio ma anche che le singole autorità di vigilanza, competenti per Paese, abbiano piena capacità di azione, in forma coordinata con il regolatore europeo che, come dicevo inizialmente, non possiede gangli così tanto ramificati da raggiungere appieno le specificità di ciascun mercato locale.
Così facendo, non solo il principio della concorrenza tra imprese ne gioverebbe rafforzando l’intero sistema, in ottemperanza con le normative europee, ma gli stessi consumatori potrebbero godere di un mercato più equilibrato, senza ombre, dal quale più difficilmente potrebbero ricevere delle spiacevoli sorprese. Si tratta, quindi, di un’operazione win win nella quale, appunto, tutti vincono e dalla quale tutti hanno modo di trarre un motivo di crescita.