Da settimane, ormai, i casi accertati di infezione da covid-19 in Australia sono limitatissimi, prossimi allo zero. Frutto di evidenti misure di prevenzione tempestive ed efficaci, tra cui l’ermetica chiusura delle frontiere che hanno permesso al virus di non dilagare, magari favorito anche dalla ridotta densità abitativa del Paese. Anche in Australia ci si accinge alla vaccinazione di massa e alla realizzazione di un apposito certificato. Gli australiani vaccinati, infatti, riceveranno il relativo certificato sui loro telefoni cellulari, attraverso app del governo già esistenti. Lo ha annunciato il ministro per i Servizi governativi, Stuart Robert, confermando che la campagna nazionale di vaccinazione partirà per la fine di febbraio. La registrazione della vaccinazione sarà eseguita contestualmente alla somministrazione della dose da parte di un medico di base o di un farmacista, che riporteranno i dati della persona sull’esistente registro elettronico nazionale delle immunizzazioni. I certificati, inoltre, potrebbero essere obbligatori per entrare in luoghi ad alto rischio, come le strutture di assistenza agli anziani. L’Australia, quindi, si sta organizzando e ci tiene a rimanere una terra quasi del tutto estranea alla grave circolazione del virus che invece ha caratterizzato vaste aree degli altri continenti.
Da noi, invece, il dibattito è sempre aperto per quanto riguarda l’adozione di un certificato vaccinale per il ritorno alla normalità delle categorie che hanno già potuto beneficiarne. Un esempio è stato il Super Bowl appena tenutosi a Tampa, negli Stati Uniti. Al grande evento era presente una certa fetta di pubblico selezionato esclusivamente per lo più tra personale medico (e non ) che già aveva ricevuto il vaccino. Si tratta di un’ipotesi che potrebbe in qualche modo permettere all’economia di rifiatare in attesa della tanto agognata immunità di gregge.