WeWork, società che fornisce spazi condivisi per il lavoro, ha chiesto la protezione garantita dal Chapter 11 della legge fallimentare statunitense, al termine di uno dei collassi aziendali più rumorosi e repentini degli ultimi anni. La richiesta, presentata in New Jersey, vale per gli Stati Uniti e il Canada. Solo nel 2019, WeWork vantava il maggior numero di uffici di tutta Manhattan e aveva una valutazione di 47 miliardi di dollari. La bancarotta arriva dopo anni di difficoltà finanziarie evidenti, iniziate proprio nel 2019.
Nel giro di pochi mesi, infatti, la società era passata dalla pianificazione di un’Ipo (la quotazione arriverà due anni dopo) al licenziamento di migliaia di persone. La pandemia di coronavirus, poi, ha aggravato la situazione per WeWork e altre aziende del settore, dato che il coworking è stato messo da parte per la necessità e la volontà di isolarsi. Lo scorso agosto, WeWork aveva già sollevato dubbi “sostanziali” sulla sua capacità di restare operativa. La società ha comunicato che, tolte le operazioni negli Stati Uniti e in Canada, “quelle globali continueranno come al solito”. “Ora è il momento per noi di portare avanti il futuro, affrontando in modo aggressivo i nostri contratti di locazione preesistenti e migliorando notevolmente il nostro bilancio”, ha affermato – in una nota – l’amministratore delegato David Tolley.
Secondo i documenti presentati in tribunale, WeWork avrebbe 15 miliardi di dollari in asset e debiti per 18,6 miliardi. Dal debutto al Nyse nel 2021, il titolo – ha perso circa il 98% del suo valore.