di Maurizio Pimpinella
Nel sistema bancario europeo, da alcune settimane, si sta facendo strada la tendenza ad applicare dei tassi di interesse negativi, intorno allo 0,5 per cento, in tendenziale linea con quanto previsto e già applicato ai depositi delle banche presso la Banca Centrale Europea.
Tale meccanismo è già applicato in alcuni paesi come Svizzera, Danimarca e in alcune banche regionali della Germania, presso le quali è recentemente stato abbattuto il dogma dell’applicazione ai depositi superiori ai 100 mila euro. Per quanto riguarda l’Italia, l’apripista la farà Unicredit che in questi giorni è stata coinvolta da una vasta operazione di riforma che prevede ben 8.000 esuberi solamente in Italia, suscitando un ampio dibattito che riguarda, in particolare, l’adeguamento dell’istituto di credito alle sfide portate dagli operatori tecnologicamente più innovativi.
La politica dei tagli, poi, sta coinvolgendo soprattutto (secondo i dati di Company fillings 2019) le banche europee, per l’83%: un dato che evidenzia la tendenziale maggiore fragilità del nostro modello di business rispetto a quello americano che sembra essere più pronto a reggere l’urto della concorrenza.
Intervenendo sui costi dell’indebitamento, lo scopo della BCE era quello di incentivare i consumi di imprese e famiglie, stimolando al contempo anche le banche a immettere liquidità nel credito e negli investimenti, attivando così un circolo virtuoso capace di dare uno scossone alle economie del continente.
Riguardo l’efficacia della misura della BCE, tuttavia, sono sorti dubbi da parte di diversi analisi ed operatori del settore. I tecnici di Mediobanca, ad esempio, hanno dichiarato che “Non si vede come il trasferimento di tassi negativi sulla base di clienti possa stimolare gli investimenti, dato che a spingerli sono ragioni industriali piuttosto che una logica finanziaria. Siamo scettici anche sui possibili benefici per la redditività delle banche, poiché l’applicazione di tassi negativi potrebbe scatenare una concorrenza più intensa sui prezzi, specialmente sui prestiti alle imprese e in particolare in un Paese come l’Italia in cui la crescita dei prestiti è ferma da anni”. Ai dubbi, si sono, poi, affiancate le critiche. Secondo un’analisi condotta da Nicola Mai e Peder Beck-Friis, rispettivamente vicepresidente esecutivo e vicepresidente e portfolio manager di Pimco, la politica dei tassi negativi produrrebbe almeno 3 effetti negativi.
Il primo è un danno al sistema bancario: “Man mano che i tassi diventano più negativi, le banche iniziano a guadagnare meno rendimento sui propri attivi, mentre gli interessi che pagano sui depositi rimangono generalmente al di sopra dello zero, a causa della concorrenza relativamente elevata per depositi…”
A differenza di quanto sperato, quindi, nel momento in cui i profitti diminuiscono, le banche hanno una minore capacità di erogare prestiti a imprese e famiglie o aumentare il tasso di interesse applicato per tali prestiti.
Il secondo è un incremento delle sfide per gli altri settori del sistema finanziario: questo aspetto riguarda in particolare i settori pensionistici e assicurativi che assicurano tendenzialmente un rendimento assicurato nel medio periodo.
Il terzo è che i tassi negativi, in realtà, possano aumentare e non diminuire la propensione al risparmio: in questo caso, parliamo dell’effetto di “illusione monetaria” che riguarda variabili reali e legate all’inflazione e non semplicemente nominali.
Vedremo nei prossimi mesi se anche in Italia la tendenza delle banche di applicare tassi negativi si diffonderà anche ad altri istituti quale sarà effettivamente l’effetto di questa misura applicato in una economia che soffriva già quando quelle degli altri paesi europei erano in crescita.