di Pierfrancesco Malu
Per quanto riguarda il lavoro, la pandemia ha portato con se due macro fenomeni principali che hanno e che stanno producendo effetti anche in Italia: lo smart working e il great resignation.
Per quanto riguarda lo smart working, l’Osservatorio del Politecnico di Milano ha certificato che nel 2022 c’è stata una decrescita dei lavoratori in tale veste (3,6 mlnd, 500 k in meno rispetto all’anno precedente). Ad ogni modo, lo Smart Working è presente nel 91% delle grandi imprese italiane (era l’81% nel 2021), mediamente con 9,5 giorni di lavoro da remoto al mese e progetti che quasi sempre agiscono su tutte le leve che caratterizzano questo modello. Una tendenza opposta si riscontra nelle PMI, in cui lo Smart Working è passato dal 53% al 48% delle realtà, in media per circa 4,5 giorni al mese.
L’altro fenomeno della Great Resignation (Grandi dimissioni), anche l’Italia ne è al momento investita: il 45% degli occupati ha dichiarato di aver cambiato lavoro nell’ultimo anno o di avere intenzione di farlo da qui a 18 mesi. Una decisione che non è motivata solo dall’esigenza di migliori stipendi, ma che riflette anche un certo malessere avvertito sul lavoro. Secondo uno studio dell’Osservatorio HR Innovation Practice della School of Management del Politecnico di Milano, che analizza il fenomeno in Italia, nell’ultimo anno il tasso di turnover è aumentato per il 73% delle aziende, un dato inequivocabile.
Entrambi questi fenomeni sono amplificati dagli eventi ma anche sicuramente dalla crescita del settore digitale che crea nuove opportunità di lavoro ed evidenzia la possibilità di reinventarsi grazie a una profonda riformulazione sia delle competenze sia del mercato del lavoro stesso.