di Maurizio Pimpinella
Dallo sport allo spettacolo, dalla moda allo streaming, ormai è difficile non imbattersi in qualche forma di promozione dei prodotti cripto, anche con il coinvolgimento di personaggi famosi che – spesso in maniera ben poco informata e con scarsa dovizia di informazioni – contribuiscono a diffonderne i presunti benefici verso un pubblico sempre più eterogeneo e per lo più distante da quello dei grandi (e veri) investitori, capaci di riversare negli asset digitali tempo e risorse economiche. Questo fenomeno, in alcuni casi ha dato vita addirittura a delle vere e proprie frodi (chiamate pump & dump) che producono l’effetto di far lievitare artificialmente il prezzo di un asset a bassa capitalizzazione con l’obiettivo finale di rivenderlo a un prezzo superiore, ingannando di fatto gli investitori.
Peccato però che nell’ambiente cripto vi sia una tendenziale confusione nei termini e nell’oggetto (per cui facilmente tutto, dai token alla blockchain, finisce col diventare bitcoin) e disinformazione riguardo la reale portata degli investimenti, ciò che contribuisce anche a creare un pericoloso vulnus in un settore che già – a causa, ad esempio, della scarsa regolamentazione – si presta a profonde “interpretazioni” e fluttuazioni di mercato.
Di recente, in un intervento presso la Columbia University di New York, il membro del Comitato esecutivo BCE Fabio Panetta ha dichiarato che «Le cripto-attività non rappresentano soltanto investimenti speculativi ad alto rischio, ma costituiscono una minaccia concreta per la stabilità finanziaria. Dobbiamo intervenire ora per ricondurre le cripto-attività all’interno di un quadro normativo chiaro, a beneficio dell’intera società». Eppure, queste posizioni, non molto distanti da quelle espresse più volte dal Presidente Consob Paolo Savona e da altri regolatori internazionali, non hanno impedito che il mercato degli asset digitali crescesse a ritmi vertiginosi (come testimoniano gli oltre 30 miliardi di dollari investiti in VC nel 2021), spingendo la nascita di nuove imprese e di nuovi ambiti di investimento: dagli NFT al Metaverso. Come anticipato però, e nonostante la comunicazione a tappetto degli ultimi due anni, le criptovalute – per quanto famose, riconoscibili e sostanzialmente anche sdoganate in alcuni utilizzi come testimonia il loro utilizzo pro Russia o Ucraina – di fatto non hanno ancora sfondato rimanendo in un alveo più elitario e “centralizzato” di quanto si pensasse: il tutto in ossimoro con la loro natura decentrata. A questo proposito, un esempio è chiarificante. A settembre 2021, 9 americani su 10 avevano sentito parlare di criptovalute, ma solo il 16% di questi le aveva utilizzate. Inoltre, a dicembre dello scorso anno, lo 0,01% dei possessori di Bitcoin controllava il 27% della valuta, confermando quindi l’assunto secondo il quale i veri giochi sono gestiti da un esiguo numero di soggetti, fondi o aziende.
Tuttavia, come evidenziato dallo stesso Panetta, le cripto attività operative a oggi sono circa 10.000 con un valore complessivo pari a 1.300 miliardi di dollari: un valore complessivo troppo ampio per poter essere ignorato, anche se sono relativamente pochi e concentrati gli individui che le detengono effettivamente, ma che, proprio per questo, sono in grado di produrre economico-finanziari su una fetta ben più ampia di risparmiatori e investitori.
Secondo numerosi commentatori poi, la prossima evoluzione di questo ecosistema sarà il Web3 in cui ogni elemento disponibile poggerà su elementi crittografici, dai prodotti alle transazioni, tutti concepiti in modo da diventare un investimento, spesso caldamente suggerito da influenti “promotori” privi però di una reale competenza di settore. A fronte quindi di pochi che si sono notevolmente arricchiti con lo scambio di cripto asset, vi sono molte persone che non sono in grado di farlo o che, peggio, hanno persino perso ingenti somme di valuta (fiat). A tal proposito, giova ricordare che tra novembre 2021 e gennaio 2022, il valore del Bitcoin è sceso da circa 68.000 a circa 38.000 dollari. La sua volatilità trimestrale è stata del 60%, superiore di quasi cinque volte a quella dell’oro e di quattro volte a quella del mercato azionario Usa: non esattamente ciò che si potrebbe considerare un investimento fruttuoso o sicuro.
Senza le protezioni impostate nei sistemi finanziari tradizionali, come ad esempio la KYC, i danni per gli investitori cripto saranno sempre ingenti, aggirandosi attorno ai 14 miliardi di dollari l’anno.
A questo punto, per ovviare ai piccoli e ai grandi problemi cui è soggetto questo settore, sarebbe necessario che il perimetro della regolamentazione e della vigilanza allarghi i propri confini affinché, per quanto possibile, i consumatori possano godere di una “copertura normativa” ampia tanto quanto le sollecitazioni che possono ricevere. Pertanto, accanto ad una più puntuale sensibilizzazione dei consumatori, è necessario anche poter intervenire tempestivamente sia per bloccare le eventuali condotte fraudolente sia per correggere i comportamenti poco virtuosi che possono sempre scaturire.
Facendo una rapida considerazione, emerge che in questo momento le criptovalute sono ancora più diffuse dei mutui subprime che condussero al fallimento di banche d’affari e alla crisi economica del 2008 e c’è già chi parla di una bolla pronta ad esplodere.
Probabilmente, non siamo ancora arrivati a questo punto, ma è evidente che il pericolo speculativo che ruota attorno a questi asset e la loro intrinseca instabilità possano tendenzialmente favorire il verificarsi di bolle speculative di varia entità. Detto questo, e considerato il fatto che dovremo imparare a convivere con tale genere di valute – che non saranno certo spazzate via dalla nascita delle valute digitali della banca centrale (il cui obiettivo è solo marginalmente questo), dobbiamo anche prendere il buono che la tecnologia su cui poggiano è in grado di offrirci: come la velocità e la trasparenza nelle transazioni e la realizzazione di un protocollo standardizzato capace di sostenere l’intero mercato finanziario negli anni a venire.