Serenis, centro medico online per il benessere mentale e fisico, in collaborazione con un gruppo di ricerca del Dipartimento di Scienze Economiche e Aziendali dell’Università di Padova (Martina Gianecchini, Simona Leonelli, Alessandra Tognazzo), ha pubblicato la seconda edizione del progetto di ricerca “Osservatorio sul benessere psicologico nelle aziende italiane”, fotografando lo stato di benessere psicologico dei lavoratori italiani. La nuova rilevazione ha coinvolto oltre 1200 lavoratori, dai 18 fino oltre i 60 anni.
Dai risultati dell’indagine emerge un dato critico: il 61% degli intervistati mostra un livello di malessere psicologico crescente, in netto aumento rispetto al 49,4% rilevato nel 2023. In media, l’indicatore GHQ-12 si attesta su 21,4 punti, in rialzo rispetto ai 20,1 dell’ultima analisi. Solo il 17% dei rispondenti presenta segnali di benessere mentale.
L’interesse per il benessere mentale c’è, ma il supporto è ancora insufficiente “Se per oltre 6 persone su 10 il benessere psicologico sul lavoro è un tema molto importante, il 57,8% dei rispondenti dichiara che la propria azienda mostra scarso interesse per questo aspetto, in crescita rispetto al 52,9% del 2024. Molto spesso le aziende faticano a comprendere che il benessere non si costruisce con i benefit, ma con ambienti in cui le persone possono esprimersi, sentirsi ascoltate e libere di sbagliare. Dove mancano autonomia e sicurezza psicologica, è più facile che emergano ansia, insoddisfazione e distacco”, afferma Martina Migliore, psicoterapeuta e Direttrice della Formazione in Serenis. Il disagio percepito si accompagna a una soddisfazione lavorativa in calo, oggi pari a 5,25 su 10 (contro i 5,66 dell’anno scorso). Le aree di impiego più critiche restano commerciale e vendite (4,6) e produzione e logistica (4,8). Inoltre, i lavoratori con titolo di studio più elevato risultano meno soddisfatti rispetto ai colleghi con un livello di istruzione inferiore.
Ma cosa ci fa stare meglio a lavoro?
Tra i principali fattori che incidono sul benessere dei dipendenti ci sono l’autonomia e la sicurezza psicologica, intesa come la possibilità di esprimere liberamente le proprie opinioni e di commettere errori senza aver paura di ripercussioni negative. Il benessere lavorativo si realizza pienamente quando le persone percepiscono un reale allineamento tra i propri valori, le proprie attività professionali e la missione dell’azienda per cui lavorano.
La settimana corta
Tra le proposte che raccolgono maggior consenso, la settimana lavorativa di quattro giorni è la più apprezzata: il 47,2% dei lavoratori rinuncerebbe fino al 10% dello stipendio pur di lavorare solo un giorno in meno, anche se in presenza e con orari fissi, evidenziando una forte esigenza di flessibilità. Quest’ultima, soprattutto se strutturata in modo efficace, si conferma quindi centrale per migliorare il benessere psicologico dei lavoratori Sullo stesso piano anche lo smart working che, se ben progettato, può incidere positivamente sull’equilibrio tra vita e lavoro.
“Molte aziende utilizzano lo smart working per venire incontro a esigenze particolari di gruppi di lavoratori o come forma di “premio” per attrarre i talenti. La ricerca mostra che c’è molto di più: il valore assegnato alla flessibilità oraria e di luogo di lavoro non è solo simbolico, tanto che i lavoratori sono disposti a sacrificare parte del loro stipendio per questo”, afferma Martina Gianecchini, professoressa del Dipartimento di Scienze Economiche e Aziendali dell’Università di Padova che ha condotto la ricerca.
Quali attività migliorano il benessere dei lavoratori?
I dati raccolti dall’Osservatorio rivelano chiaramente cosa vorrebbero i lavoratori dalle aziende, ed evidenziano le iniziative che si sono dimostrate più efficaci per sostenere il benessere mentale. In particolare, le strategie più apprezzate sono:
- Programmi di supporto psicologico (citati dall’85,3%)
- Controlli sanitari e campagne di prevenzione (49,9%)
- Mentoring e percorsi di crescita (39,3%)
Tuttavia, occorre tenere a mente che queste attività non devono essere intese come benefit opzionali o sostituti di tutele esistenti, come ad esempio le ferie maturate dai dipendenti: al contrario, devono rappresentare mezzi strutturali, sempre più attesi da chi lavora.
“Oggi il benessere dei lavoratori è una priorità imprescindibile. Le persone chiedono alle aziende un impegno reale, fatto di ascolto, prevenzione e crescita”, afferma Martina Migliore, “Iniziative come il supporto psicologico o i percorsi di mentoring non sono più un “plus”, ma elementi chiave per costruire un ambiente di lavoro sano, motivante e sostenibile nel lungo periodo”.
Profilo del campione: giovani e altamente istruiti
Il campione dei rispondenti all’indagine è composto prevalentemente da donne (77,6%), a fronte del 21,8% di uomini e dello 0,6% che si identifica come non binario. Dal punto di vista anagrafico, la fascia maggiormente rappresentata è quella tra i 18 e i 25 anni (63,1%), seguita dai 36-45enni (26,5%), dai 46-60enni (9,1%) e, in misura minore, dagli over 60 (1,3%).
Per quanto riguarda il livello di istruzione, il campione è mediamente molto qualificato: il 18,9% è in possesso di un diploma di scuola media superiore, il 26,8% ha conseguito una laurea triennale, mentre quasi la metà (49,6%) possiede una laurea magistrale o un titolo del vecchio ordinamento. Infine, il 4,7% ha completato un dottorato o un percorso di studi post-laurea.
Il campione è quindi prevalentemente giovane e con un elevato livello di scolarizzazione, a conferma dell’interesse crescente di questa fascia di popolazione verso il benessere mentale.