Di Michele Sansone, country manager di iBanFirst Italia
Il 2 aprile 2025, data ribattezzata “Liberation Day” da Donald Trump, verranno annunciati nuovi dazi reciproci, con l’obiettivo di colpire il 15% dei Paesi con cui gli Stati Uniti registrano i maggiori squilibri commerciali. Contrariamente ai timori iniziali dei mercati, le nuove tariffe non saranno applicate in modo generalizzato, ma si concentreranno esclusivamente sui paesi che impongono dazi agli Stati Uniti e che, al contempo, hanno un deficit commerciale con essi.
I nuovi dazi porteranno il tasso medio di tariffazione sulle importazioni statunitensi dal 4,8% al 10,5%. Questo incremento è significativo, ma ancora inferiore al 16,7% che deriverebbe dall’applicazione integrale del programma economico di Trump, come delineato durante la campagna elettorale. In questo modo, i dazi medi tornano ai livelli precedenti agli accordi GATT del 30 ottobre 1947.
I Paesi target e l’impatto differenziato
L’amministrazione Trump ha identificato sette economie principali come obiettivo: Unione Europea, Messico, Giappone, Corea del Sud, Canada, India e Cina. Rispetto alle iniziali minacce di una guerra commerciale globale, la strategia appare più mirata. La Cina sarà il Paese più colpito, con un aumento dei dazi medi dal 10,2% al 29,5%. Tuttavia, siamo ancora lontani dalla tariffa del 60% minacciata prima delle elezioni su tutte le importazioni cinesi.
Per i Paesi che finora hanno beneficiato di tariffe minime, l’impatto sarà ancora più marcato. Messico e Canada, per esempio, vedranno i loro dazi passare rispettivamente dallo 0,1% e dallo 0,2% al 20% e al 25%. Questo livello di tassazione avrà un impatto significativo su due economie profondamente integrate con gli Stati Uniti. Per l’Unione europea, l’aumento sarà più contenuto, con un incremento medio al 2%.
Effetti economici previsti: stime e realtà
Queste stime si basano su un’elasticità di prezzo a breve termine delle importazioni pari a -0,7. Gli effetti di lungo periodo sono più difficili da prevedere, poiché l’annuncio di dazi elevati tende a modificare la struttura della bilancia commerciale, inducendo i consumatori a ricorrere a beni sostitutivi e le imprese a implementare strategie di elusione.
Secondo l’amministrazione statunitense, i nuovi dazi potrebbero generare “migliaia di miliardi di dollari in un decennio”. Tuttavia, l’esperienza con la Cina suggerisce cautela: dopo un picco nel 2022, le entrate doganali statunitensi provenienti dalla Cina sono crollate nel 2023, dimostrando la capacità delle imprese di adattarsi alle barriere commerciali. Nella pratica, le nuove tariffe dovrebbero generare circa 40-45 miliardi di dollari all’anno. Sebbene sia una cifra significativa, resta insufficiente per una riduzione sostanziale del deficit federale.
Volatilità dei mercati e implicazioni per le imprese italiane
Resta innegabile come l’introduzione dei nuovi dazi abbia incrementato la volatilità dei mercati valutari, spingendo molte aziende a rivedere le proprie strategie di gestione del rischio per proteggersi dalle fluttuazioni dei tassi di cambio. Una tendenza che evidenzia una crescente preoccupazione per l’instabilità geopolitica e il suo impatto sulle operazioni commerciali internazionali che sta portando alcune aziende a diversificare anche le loro catene di approvvigionamento e a cercare fornitori alternativi per mitigare l’esposizione ai paesi colpiti dai dazi. Tutte misure che, sebbene necessarie, potrebbero comportare costi aggiuntivi e influenzare i margini di profitto nel breve termine.
Anche per le imprese italiane, in particolare le PMI, in questo contesto di crescente volatilità diventa fondamentale adottare strategie efficaci per proteggersi dalle fluttuazioni in particolare legate al cambio EUR-USD con strategie che possano salvaguardare i margini di profitto e consentire al contempo una pianificazione finanziaria più accurata, per mantenere la competitività sui mercati internazionali.