Il PIL italiano si è fermato nel 3° trimestre, risentendo del calo nell’industria compensato dalla crescita nei servizi. Nel 4° l’economia è stimata in lieve ripartenza, trainata dal terziario e con il taglio dei tassi che può iniziare ad agevolare consumi e investimenti. Resta negativo l’export a causa della debolezza dell’Eurozona e dell’incerto scenario globale.
La FED a novembre ha deciso il secondo taglio dei tassi USA (di -0,25, a 4,75%), dopo il primo a settembre. La BCE ha già tagliato tre volte i tassi europei (sempre di -0,25, a 3,25%). Entrambe si riuniscono a metà dicembre per l’ultima seduta 2024: i mercati si aspettano un altro quarto di punto di tagli nelle due aree, oltre che il proseguire dell’allentamento nel 2025 (di un ulteriore punto la BCE).
A ottobre nell’Eurozona è al +2,0%, sulla soglia BCE: l’energia è ancora in ribasso (-4,6% annuo), gli alimentari in rialzo (+2,9%), tra i prezzi core (+2,7%) quelli dei servizi sono caldi (+3,9%), quelli dei beni industriali freddi (+0,5%). In Italia gli andamenti sono analoghi, ma più moderati (+0,1% gli industriali): il risultato è un’inflazione un punto più bassa: +0,9% totale, +1,7% core.
A ottobre-novembre il prezzo del gas in Europa è arrivato a 40 euro/mwh, un balzo del +57% dai 26 euro di febbraio: ciò agisce al rialzo sui prezzi dell’elettricità pagati da famiglie e imprese italiane. Viceversa, il prezzo del petrolio è più moderato rispetto ai picchi della prima parte del 2024 (85-90 dollari al barile), continuando ad oscillare tra 74 e 76 dollari da settembre a novembre.
Nel 3° trimestre i servizi sono stati l’unico settore in crescita, grazie al turismo straniero (+6,7% annuo la spesa in agosto). Gli ultimi dati sono misti: a settembre RTT (CSC-TeamSystem) indica un moderato recupero del fatturato; in ottobre il PMI è risalito (52,4, da 50,5), segnalando crescita all’inizio del 4°; scende però la fiducia delle imprese, specie nei servizi di trasporto.
La produzione nel settore edile è scesa in agosto (-1,8%) e dal picco di inizio anno è calata del -4,6%. In termini di fatturato, RTT a settembre indica che il settore tiene. In prospettiva, prevarrà, in negativo, la fine degli incentivi, solo in parte compensata dal sostegno derivante dal PNRR. I giudizi sulle condizioni per investire sono peggiorati nel 3° trimestre (-7,7 il saldo) e le valutazioni sugli ordini di beni strumentali scese a ottobre (-25), anticipando una dinamica debole di investimenti in impianti-macchinari. Scende il costo del credito per le imprese (-0,69% dai massimi).
Le indicazioni sono deboli: nel 3° trimestre le vendite di auto sono calate di -6,6% (e di -0,8% in ottobre), quelle di altri beni sono cresciute poco (+0,4%). Inoltre, la fiducia delle famiglie è scesa in ottobre su valori bassi rispetto al 2018-2019, quindi la propensione al risparmio potrebbe restare alta. In positivo agiscono l’inflazione bassa e il costo del credito in calo (-0,28% dal picco).
Nel 3° trimestre l’export italiano si riduce ulteriormente (-0,6% a prezzi costanti), mentre l’import segna una prima debole ripresa (+0,9%) dopo 2 trimestri in contrazione. A ottobre continuano i segnali negativi per l’export dai giudizi sugli ordini esteri: pesa la debolezza dell’Eurozona e della Germania in particolare. Il commercio mondiale, invece, continua a crescere (+0,7% a luglio-agosto sul 2° trimestre), anche se le prospettive sono in leggero peggioramento (48,3 il PMI a ottobre).
La produzione industriale è in calo in tutta l’Area: nel 3° trimestre in Germania si è avuta una netta contrazione (-1,9%), più che in Italia, ed è arretrata anche la Spagna (-0,4%); in controtendenza la Francia (+0,5%). L’andamento del PIL denota comunque una crescita dell’Area nel 3° (+0,4%), trainata dai servizi: Francia in salute (+0,4%), Spagna (+0,8%) che continua a essere l’economia più vivace, modesto il contributo della Germania (+0,2%) dopo un 2° in calo.
Il PIL americano è cresciuto di +0,7% nel 3° trimestre, grazie al contributo dei consumi privati (+0,6%) e della spesa pubblica (+0,2%), che hanno compensato la debolezza degli investimenti (+0,1%) e il calo delle esportazioni nette (-0,1%). La produzione industriale, invece, ha chiuso in calo il trimestre (-0,3%); a ottobre, il PMI e l’indice di Chicago (47,4 da 35,4) si confermano su valori recessivi. Dall’esito delle elezioni USA il dollaro si è apprezzato (1,05, da 1,09).
Ancora in fase espansiva la manifattura cinese, seppure a ritmi contenuti. La produzione è sostenuta dalla domanda estera: a ottobre l’export segna un +12,7% mensile, la crescita più alta in due anni; l’elezione di Trump potrebbe indurre una forte espansione nei prossimi mesi, per anticipare l’eventuale introduzione di barriere tariffarie dal 2025. Resta invece flebile la domanda interna e prevale delusione per il ritardo nelle politiche di rilancio: il Governo ha annunciato 1.400 miliardi di dollari in 5 anni, ma per lo più destinati a risanare il debito delle autorità locali.
Moda e auto affondano l’industria italiana
Nei primi 9 mesi del 2024 la produzione industriale italiana è scesa del -3,3% rispetto allo stesso periodo del 2023. Ciò a causa di un marcato calo nel 1° trimestre (-1,4% congiunturale), che si è poi attenuato progressivamente verso la fine della primavera (-0,9% nel 2°). Nonostante ciò, i dati del 3° trimestre sono rimasti negativi, con un’ulteriore riduzione di -0,6%.
Le prospettive per i prossimi mesi sono legate al recupero di consumi e investimenti in Italia e in Europa che avverrà, ma lentamente, grazie alla lenta risalita del reddito disponibile e al taglio dei tassi. La CIG ordinaria nella manifattura è aumentata di circa il 50% rispetto ai primi tre trimestri dello scorso anno. Il PMI manifatturiero, che si era avvicinato alla soglia neutrale in estate (49,4 in agosto) è poi tornato a scendere fino al 46,9 in ottobre. La fiducia delle imprese manifatturiere è debole da circa un anno, su valori modesti e in leggero calo di recente (85,8 ad ottobre, da 86,6). Ancora in lieve calo le attese sugli ordini nella manifattura (saldo delle risposte a 1,3 in ottobre, da 1,8 a settembre; era a 2,3 a luglio).
I prezzi delle materie prime utilizzate da vari settori manifatturieri sono rimasti alti, anche dopo la fine dell’impennata delle quotazioni del 2021-2022. Ciò accade soprattutto per l’energia in Europa, che penalizza la competitività delle imprese italiane, non solo nei settori più “energivori”.
A livello settoriale, emergono performance molto differenti. Pochi settori sono cresciuti nel 2024: altri mezzi di trasporto (che includono gli armamenti) e riparazioni/installazioni registrano ampi incrementi (rispettivamente +8,2% e +5,4%), ma anche alimentari e carta crescono (+2,5% e +1,5%). Tengono la raffinazione petrolifera e la chimica. Soffrono tutti gli altri settori, la maggioranza. In particolare, sono in affanno quello automobilistico e quelli del comparto abbigliamento-tessile-pelli.
Nei primi 9 mesi del 2024 la produzione dei settori riconducibili alla moda ha subito una forte flessione: -15,1% le pelli (dopo il -9,9% del 2023), -9,5% l’abbigliamento (-2,5%), -5,9% il tessile (-8,2%). Le ore autorizzate di cassa integrazione nel complesso dei tre sotto-settori sono più che raddoppiate, l’export ha registrato un -4,5% nei primi 8 mesi e il fatturato un -9,0% a prezzi correnti. Nel post pandemia, dopo una breve e vivace ripresa, il settore ha cominciato a soffrire (lusso incluso) e le imprese della moda (soprattutto quelle più piccole, ma non solo) hanno visto una diminuzione verticale degli ordini, merce accantonata nei magazzini e conseguente stallo nella produzione, fino ad arrivare alla forte contrazione iniziata nel 2° semestre 2023, che non sembra arrestarsi. In prospettiva, non si vedono molti segnali positivi: le guerre in Medio Oriente e tra Russia-Ucraina, la frenata in Germania e nell’import cinese raffreddano mercati cruciali per il settore; la fiammata inflazionistica ha lasciato i prezzi finali più alti.
La produzione nel settore automotive in Italia (Ateco 29, compresa la componentistica e i motori) è in calo del -19,4% nei primi 9 mesi del 2024 sugli stessi mesi del 2023. In termini tendenziali, a settembre siamo al -32,4%, di cui -42,7% per gli autoveicoli. Il settore auto è uno dei principali della manifattura italiana: pesa per il 6,3% della produzione (13% in Europa, data la stazza del comparto in Germania) e con l’indotto il peso sale ancora: la sua crisi, perciò, impatta molto sull’economia. Quali sono i motivi del crollo produttivo dell’ultimo anno? Il calo della domanda, come si vede dalle immatricolazioni (anche se aumenta di poco l’import); il cambiamento delle abitudini, specie dei giovani (car sharing, noleggio, etc.); le tendenze demografiche; il prezzo medio delle auto nuove in forte aumento (+3,0% all’anno nel 2018-2024, contro il +1,6% della core inflation), sulla scia di maggiore tecnologia a bordo e aumento delle dimensioni dei veicoli, ma anche per il rincaro di materie prime ed energia; prezzi troppo alti per le elettriche: in 10 anni, a parità di modello, il costo è maggiore di +15% rispetto all’endotermico; per le elettriche, si aggiunge (ad oggi) la scarsa disponibilità di ricariche e la minore autonomia.