Qualsiasi bonus, per sua natura, ha un effetto distorsivo sul mercato, a questo si aggiunge spesso una durata temporale limitata ovvero la sua decadenza al presentarsi di determinate condizioni: siano queste l’esaurimento delle risorse disponibili o il raggiungimento degli obiettivi preposti. Ritengo tale premessa doverosa al fine di inquadrare un fenomeno, quello del superbonus, che tanto fa e farà discutere.
Di fatto, dal 17 febbraio, tramite l’adozione di un decreto legge, il Governo ha stabilito di porre fine a tale sistema. Sulla decisione ha pesato in maniera decisiva il fatto che Eurostat considera il superbonus come una “moneta fiscale” e che quindi questa contribuisce ad appesantire il bilancio dello Stato creando nuovo deficit. Su questo primo aspetto “tecnico/politico” grava anche – come evidenziato dal Presidente del Consiglio Meloni – l’incidenza economica e sociale generale della misura (introdotta dal Governo Conte II e già in parte osteggiata da quello Draghi) che attribuisce un costo netto di 2.000 euro ad ogni cittadino italiano, compresi i neonati e chi non possiede una casa. Volendo però estremizzare la questione, un tale ragionamento sarebbe applicabile a qualsiasi iniziativa di spesa pubblica: sarebbe, ad esempio, come dire che pagano la spesa sanitaria anche i sani e coloro che non si recano in ospedale, ciò che rappresenta la base del welfare state. Avrebbe, invece, più senso affermare che il Governo, anche in virtù della consistenza della spesa, non ha più né intenzione né possibilità di sostenerla. Il secondo aspetto che ha inciso – anche se non in maniera probabilmente determinante – sulla decisione del Governo è imputabile all’uso improprio e talvolta fraudolento che è stato fatto dei crediti, tanto che la stessa Guardia di Finanza ha avviato varie inchieste su cantieri mai avviati, guadagni illeciti e crediti fittizi.
Il rovescio della medaglia di una decisione – in questi termini – sostanzialmente condivisibile è però illustrato da un intero comparto economico che riceve una mazzata, talvolta mortale. Il superbonus, infatti, ha comportato la nascita di oltre 30.000 nuove imprese solo nei primi due anni in cui è stato vigente e alla sua sospensione impiegava oltre 130.000 addetti impiegati in circa 90.000 cantieri. Inoltre, secondo i dati raccolti da Nomisma nell’estate del 2022, il superbonus aveva generato la bellezza di 124,8 miliardi di euro (con un saldo quindi positivo rispetto alla spesa dello Stato di cui sopra), così suddivisi:
- 56,1 miliardi come effetto diretto – spesa aggiuntiva nel settore delle costruzioni necessaria per produrre semilavorati, prodotti intermedi e servizi necessari al processo produttivo;
- 25,3 miliardi come effetto indiretto – settori attivati dal comparto delle costruzioni;
- 43,4 miliardi come effetto indotto – effetti sul potere di spesa che a sua volta attiva altri comparti e richiede maggiori produzioni.
Insomma, a conti fatti si è rivelato un vero e proprio volano di crescita per l’intero settore edile come pochi altri in passato, tanto da smuovere oggi le vibranti proteste di associazioni dei costruttori e non solo.
In tutto questo, l’Unione Europea sta predisponendo una direttiva (non ancora approvata in via definitiva) che nel giro di pochi anni pretenderebbe che fossero avviati lavori per efficientare oltre la metà del patrimonio immobiliare italiano. Inutile dire che i due provvedimenti sono contraddittori tra di loro anche perché è più che improbabile che gli italiani procedano a sostenere da soli una spesa di decine di migliaia di euro ciascuno.
L’aspetto di questa vicenda che però desta maggiori preoccupazioni è che – come spesso accade in Italia – possa in qualche modo essere messo in discussione la certezza del diritto, in particolare di imprese e cittadini. Nel percorso di recepimento della direttiva sulla casa green nel nostro ordinamento, ad esempio, si potrebbero prevedere dei sistemi incentivanti per le famiglie simili a quelli del superbonus. A tale sistema sarebbe poi da applicare una scala di priorità degli aventi diritto in base al reddito e all’effettiva necessità di operare l’intervento. Sarebbe questa una soluzione per salvare entrambe le anime della questione: mantenere vivo il volano economico ma ricondurlo solo agli interventi strettamente necessari.
A questo proposito, è apprezzabile il lavoro di concertazione avviato dall’esecutivo che ha stabilito di convocare un tavolo tra le parti per individuare soluzioni alternative tese anche a non disperdere in toto il valore generato dal superbonus, inteso soprattutto come strumento di sviluppo.
Come ho premesso all’inizio, però, è natura dei bonus (anche di quelli super) avere possibilmente una durata di vita predefinita nel tempo, questo anche per evitare di “drogare” il mercato e creare delle asimmetrie concorrenziali. Vi sono però dei casi in cui, tuttavia, sostenere i consumi e la produzione con interventi esterni è propedeutico a dare la carica all’intero sistema e a farlo ripartire, un po’ come mantenere le rotelle alla bici di un bambino e toglierle non appena impara a pedalare da solo: mantenerle non impedisce l’acquisizione dell’indipendenza ma rappresenta una sicurezza, e in questo periodo ricco di incertezze avere dei punti di sostegno è di per sé un rilevante valore aggiunto.