Le criptovalute hanno monopolizzato l’attenzione di molti investitori nelle ultime settimane per il crollo delle quotazioni e i rischi derivanti dalla perdita dei capitali investiti. Ma davvero la regolamentazione può aiutare a prevenire situazioni simili? Non sempre. Questa è la posizione di Christian Miccoli, co-founder e amministratore delegato di Conio, società fondata nel 2015 che permette l’acquisto e la custodia di Bitcoin. Da allora Conio ha raccolto sul mercato poco più di 20 milioni di euro, attirando tra investitori come Poste Italiane, Banca Sella e Banca Generali. La startup inoltre ha anche annunciato di aprire i suoi wallet digitali ad altre criptovalute, oltre il Bitcoin.
“Nello scenario attuale c’è la convinzione di regolamentare tutto perché altrimenti non si proteggono i clienti. Ma questa convenzione non è sempre corretta – spiega Miccoli a Dealflower – L’Italia, ad esempio, ha creato il registro dell’Oam”. Operatori come Conio (ma anche Binance o Coinbase) hanno l’obbligo di iscriversi all’Organismo agenti e mediatori (Oam) che impone l’invio di dati ogni trimestre per tenere sotto controllo le operazioni sui propri canali.
“Questo aumenta i costi per le startup che devono sostenere i costi di iscrizione col rischio che alcune decidano di chiudere. I dati di tutti i clienti italiani poi finiscono all’Oam, ma si tratta di una protezione per i clienti o un rischio maggiore? Se un hacker o un malfattore entra in possesso di quelle informazioni è rischioso. A mio avviso, questa regolamentazione ha creato burocrazia, ha ridotto le possibilità delle aziende private e ha aumentato il rischio”.
Punto d’incontro
La regolamentazione servirebbe piuttosto per agevolare l’incontro fra finanza tradizionale e startup attive nel settore: “il mondo finanziario dimostra apertura a queste novità, ma non è banale riuscire a lavorare nella pratica. Questo per le differenze in termini di compliance delle banche rispetto alle startup. Sono due mondi quasi opposti con regole che difficilmente possono cambiare: le banche vengono regolamentate dai regulator al contrario la startup deve obbedire a una logica economica: deve avere risultati senza dedicare eccessivo tempo alla compliance“, aggiunge il Ceo di Conio.
Insomma sono due mondi che fanno fatica a incontrarsi per le logiche che hanno e trovare un punto d’incontro non è banale. “Perché la collaborazione diventi la norma serve una lavoro che semplifichi in maniera drastica il tipo di regole che vengono applicate”. Conio, tuttavia dopo un passato in cui ha tentato di approcciare il business b2c ha virato verso il b2b “sviluppando una piattaforma tecnologica facilmente integrabile per le banche. Ad oggi, abbiamo clienti bancari che stanno utilizzando il nostro servizio”. A utilizzare la tecnologia brevettata di Conio sono fra gli altri Hype e Banca Generali.
E l’Europa?
In materia d’innovazione, “l’Europa rispetto agli Stati Uniti è molto regolamentata e l’Italia al suo interno eccelle per esserlo ancora di più”, fa notare Miccoli. Non a caso di recente c’è stato l’accordo provvisorio sul Mica, che vuole stabilire un quadro normativo applicabile alle crypto-attività, agli emittenti di crypto-attività e ai fornitori di servizi per le crypto-attività che dovrà poi essere recepito dagli stati membri, anche se si parla del 2024 e oltre.
“Osservo una tendenza a regolamentare a tappeto ancor prima delle evidenze della presenza di qualche problema. Credo che di fronte un fenomeno nuovo, prima di spaventarsi o bloccare iniziative e di conseguenza l’economia, occorra capire se la regolamentazione può essere utile o, appunto, crea un danno all’economia”. E sempre dalla regolamentazione può derivare il futuro dell’Europa come terra di nuovi giganti tech: “può accadere come no”, chiosa Miccoli.
Lo scenario attuale
Secondo il fondatore di Conio non bisogna per forza esser tutelati: “nelle ultime settimane col crollo del Bitcoin non è venuto nessuno a lamentarsi con noi. Il concetto di tutela è nato quando le banche hanno abusato della loro competenza e le persone andavano in filiale per farsi consigliare. Questo vale in un modo di rapporti fisici – e passati. Oggi quando una persona decide cosa fare è consapevole. La tutela deve invece esserci, invece, per quanto riguarda le truffe. Non vanno fatte norme in più, ma snellirle e applicarle”.
Ad oggi, infatti, secondo Miccoli, i problemi del mondo crypto sono principalmente le truffe. E non solo: “dal 2017 in poi si sono avvicinati al mercato molti operatori con poche conoscenze. Sono nati tantissimi progetti di marketing senza contenuto né finanziario né tecnologico. Anche progetti interessanti, come Terra Luna, si basavano su promesse finanziariamente assurde. Cose di questo genere inquinano il mercato e nel breve provocano una discesa delle quotazioni. Al contempo, però, possono essere la base per ripartire su presupposti più solidi come successo dopo il caso delle ICO del 2017″, conclude.