di Maurizio PImpinella
Era il 1873 e un deputato radicale del neonato Regno d’Italia, tale Antonio Billia, parlava per la prima volta di “questione meridionale” riferendosi alla condizione economica del Mezzogiorno d’Italia rispetto alle altre regioni del nuovo Stato. Da allora, questa espressione è rimasta nel linguaggio comune andando ad indicare una situazione che non si è mai risolta ma che, anzi, è andata acuendosi col passare dei decenni. L’Italia è stata a lungo come divisa a metà, degradando in efficienza e prosperità man mano che si scendeva verso sud. Una condizione, ovviamente, inaccettabile, soprattutto perchè riferita ad un territorio comunque ricco di eccellenze e potenzialità non espresse sotto il profilo umano, naturalistico e imprenditoriale. Al Mezzogiorno non manca la scintilla, mancano le condizioni strutturali perchè il fuoco possa attecchire e mantenersi vivo.
Dopo un 2020 nel quale la pandemia ha reso sostanzialmente omogenei gli andamenti territoriali nel Centro-Nord e nel Sud, marcando una profonda differenza rispetto ai disallineamenti del passato, nel 2021 il Pil del Centro-Nord si attesterà a +6,8% mentre nel Sud crescerà del 5%. È la previsione contenuta nel Rapporto 2021 della Svimez (Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno), presentato di recente a Roma. Il rimbalzo ci sarà per l’intero territorio italiano – si sottolinea nel Rapporto – ma con il Mezzogiorno che resta comunque, pur in un quadro generalizzato di ripresa economica, meno reattivo e pronto a rispondere agli stimoli di una domanda che è legata soprattutto a due fattori: le esportazioni e gli investimenti. Secondo la Svimez, nell’arco di un quadriennio l’impatto relativamente maggiore delle manovre di finanza pubblica e del Pnrr al Sud rispetto al Centro-Nord, dovrebbe impedire al divario di riaprirsi. Ma la debolezza dei consumi, conseguente alla dinamica salariale “piatta” (15,3% di dipendenti con bassa paga nelle regioni meridionali rispetto a 8,4% in quelle centro-settentrionali), al basso tasso di occupazione e all’eccessiva flessibilità del mercato del lavoro meridionale con il ricorso al tempo determinato per quasi 920milalavoratori meridionali (22,3% nel Sud rispetto al 15,1% nel Centro-Nord) e al part time involontario (79,9% al Sud contro il 59,3% al Centro-Nord), frenerebbe la crescita. La Svimez stima che, dopo lo sblocco dei primi licenziamenti da fine giugno, ci siano stati circa 10.000 espulsi dal mercato del lavoro, di cui il 46% concentrato nelle regioni meridionali. Di qui l’indispensabilità di un ruolo attivo della politica economica. A questi indicatori, oggi si aggiunge la profonda incertezza generata dallo scenario internazionale che potrebbe influire profondamente sui territori le cui economie sono orientate alla produzione delle materie prime da un lato e allo sviluppo turistico dall’altro. I parziali segnali di ripresa, quindi, non devono illudere. Il Sud Italia necessita di riforme e di investimenti strutturali. Il Mezzogiorno, se non sostenuto da politiche mirate, rischia una forte frenata nei prossimi anni, dovuta al rallentamento del commercio mondiale e alle maggiori incertezze internazionali, non solo economiche, che potrebbero ripercuotersi sulla crescita nazionale.
Un altro problema che riguarda il Sud è lo spopolamento, il flusso migratorio che ormai lo coinvolge endemicamente da diversi anni. In soli sedici anni, circa due milioni di persone se ne sono andate, la metà delle quali giovani, non per cercare fortuna ma sopravvivenza. Chi all’estero, chi al Nord adattandosi a fare qualsiasi cosa, abbassando pretese, sogni e aspettative pur di riuscire a trovare la propria strada. Tutto questo a costo di grandi sacrifici e rinunce, in particolare sul lato affettivo, che spesso non vengono ripagati. Il fatto è che molti di questi ragazzi rappresentano anche la meglio gioventù delle loro regioni. Persone che hanno avuto un brillante percorso di studi e che rappresentano un capitale umano che rischia di andare disperso. Un valore sperperato in primo luogo per il Mezzogiorno ma in sempre più casi per l’Italia stessa, visto che molti di questi ragazzi, formati e cresciuti da noi, andranno poi a fare le fortune di USA, Germania, Inghilterra o Olanda solo per fare i nomi di alcuni dei paesi in cui la nostra immigrazione giovanile è più forte.
Nord e Sud sono componenti dello stesso Paese e non si può osservare in maniera cieca il fenomeno pensando che questi non siano un sistema di vasi comunicanti ma due sistemi ermetici chiusi a tenuta stagna. Le ricadute positive al Sud riguardano anche il Nord, così come quelle negative. Campanilismo e regionalismo non hanno alcun senso se si pensa che parte delle rimesse economiche al Sud potrebbero anzi servire per incrementare la domanda di beni e servizi a tutto vantaggio anche del Nord. L’approccio sistemico che imprese e Istituzioni del nostro Paese dovrebbero avere per incrementare la nostra competitività internazionale deve partire da un maggiore coinvolgimento del Mezzogiorno nei processi economici e politici. Se l’Italia è riuscita, nel corso degli anni, a diventare, nonostante tutto, una delle principali economie mondiali e una delle prime dieci industrie manifatturiere, rende l’idea di cosa si potrebbe diventare se, finalmente e una volta per tutte, riuscissimo a trovare la volontà di risolvere la questione della disparità tra Nord e Sud e restituire a questa splendida zona del nostro Paese la dignità e l’attenzione (positiva) che merita.
Con ogni probabilità, a questo punto, l’unico modo per il Sud di agganciare in maniera strutturale la crescita ed entrare in un circuito che ne favorisca lo sviluppo è quello di affidarsi alla digitalizzazione. Questo messaggio sembra essere stato recepito, almeno in parte anche da alcune grandi imprese OTT come Facebook e Apple visto l’interesse che stanno rivolgendo verso di noi. A Napoli, per esempio, (e non è un caso che sia anche una delle aree del Sud con i più alti indici di crescita) la Apple ha da qualche tempo stabilito la sua academy e centro di sviluppo facendo del capoluogo campano un fulcro in Italia, mentre Facebook ha stabilito una base operativa a Roma. Una struttura che vuole saldare il gap digitale tra pmi e social, cercando di formare i consumatori alla responsabilità delle scelte e alla tutela della propria immagine. Un obiettivo ambizioso che si propone di incrementare sensibilmente la formazione in ambito digitale in Europa.
Il messaggio in parte sembra essere stato recepito in quanto, come detto, proprio la Campania, secondo il rapporto Censis/Confcooperative “4.0 la scelta di chi già lavora nel futuro” (pre pandemia ma comunque significativo) illustrava come questa fosse l’area del paese che cresceva di più nell’imprenditoria legata al digitale, mentre il Nord ha basato le proprie fortune sull’industria manifatturiera. Sempre secondo il focus Censis/Confcooperative, il Mezzogiorno era l’area d’Italia con il tasso di crescita di imprese digitali più elevato, facendo segnare dal 2011 al 2017 un +21,9%; seguito da vicino dal Centro (+20,7%), è invece più distanziato il Nord (+14%). Più di recente, la tendenziale vivacità del Sud è confermata dalla fotografia scattata del “Panorama economico di mezz’estate del Mezzogiorno” pubblicato da Srm, Centro Studi collegato al gruppo Intesa Sanpaolo. Secondo il rapporto, il Mezzogiorno è l’area con il più elevato tasso di imprenditorialità giovanile (10%, in Italia 8,4%), vanta la più alta diffusione delle discipline Stem (scelte dal 25,3% dei giovani contro il 24,6% medio nazionale), conta oltre 15.000 imprese innovative, il 17% del dato nazionale, in crescita di circa il 52% a fronte del 34% della media nazionale. E su un campione di 300 imprese manifatturiere del Sud intervistate da Srm, il 34% dichiara di aver effettuato investimenti nell’ultimo triennio con forte propensione (circa il 50% degli investimenti) all’innovazione ed alla sostenibilità. La strada però è ancora in salita perché il quadro che emerge dal report è a doppia faccia: i dati positivi fanno il paio con alcune cattive notizie. Nei processi innovativi, le regioni meridionali si collocano nella fascia medio-bassa del gruppo dei “Moderate” del Regional Innovation Scoreboard europeo, anche se si intravedono alcuni segnali positivi come la diffusione di Pmi innovative (418, +77% nell’ultimo biennio, Italia +73%) e startup innovative (3.378, +33,5% nell’ultimo biennio, Italia +30,9%). C’è, inoltre, un divario nel livello di digitalizzazione: nel 2020, l’87% delle imprese meridionali con almeno 10 addetti si colloca a un livello “basso” o “molto basso” d’adozione dell’Ict, contro l’82% del dato nazionale. Anche in questo caso si evidenziano alcuni segnali di reazione alle difficoltà emerse negli ultimi tempi a causa della pandemia, come ad esempio la rilevante crescita della quota di imprese che forniscono sui propri siti web informazioni sui prodotti offerti (dal 28,2% nel 2019 al 47,7% nel 2020).
Non mancano, inoltre, elementi che possono favorire lo sviluppo di un ecosistema innovativo adeguato come l’accentuata voglia d’impresa (Sud, prima area del paese per numero di iscrizioni di nuove imprese), la presenza di 6 dei 24 poli tecnologici nazionali, importanti iniziative di collegamento tra il mondo accademico e l’economia reale. Il made in Italy è un valore incalcolabile e nel Centro-Sud ci sono la parte più grande delle bellezze italiane e dei patrimoni Unesco che potrebbero essere valorizzati in maniera innovativa così da raggiungere meglio e prima il cuore prima ancora che gli occhi di visitatori e utenti. Il digitale può fare questo e molto altro, può essere veramente il volano per il rilancio di interi territori e comunità e favorire anche il processo di inclusione sociale che in questo caso significherebbe anche renderci tutti un po’ più italiani.