Dal prossimo anno passerà da 2mila a mille euro la soglia a partire dalla quale è vietato fare transazioni con banconote. È un effetto del decreto fiscale collegato alla manovra 2020 (Governo Conte-bis), che dal 1° luglio dell’anno scorso aveva già ridotto il limite da 3mila a 2mila euro, programmando un’altra stretta nel 2022.
Quella in arrivo sarà la nona modifica in 20 anni, la quinta negli ultimi dieci. A fine 2021, secondo le previsioni del Politecnico di Milano, i pagamenti digitali potrebbero raggiungere una quota pari al 37% sul totale degli acquisti, in confronto al 33% dello scorso anno e al 29% del 2019. Resta il fatto che il cash è ancora la modalità di pagamento preferita dagli italiani e che il nostro Paese è al 25° posto su 27 nella Ue per numero di transazioni pro capite con carta (81 contro una media annua di 146; dati 2020).
Fissare per legge un limite all’uso del contante aiuta o no il contrasto all’evasione fiscale? La risposta a questa domanda ha guidato gli “avanti e indietro” dei vari Governi: divisi tra chi vede nel libero uso delle banconote un lasciapassare per il sommerso e chi invece un valore di inclusione sociale e un volàno per l’economia.
Un recente paper di Banca d’Italia («Pecunia olet. Cash usage and the underground economy»), focalizzato sul periodo 2015-17, ha però messo in luce un aspetto: l’aumento della soglia da mille a 3mila euro, introdotto nel 2016 dal Governo Renzi con lo scopo dichiarato di dare una spinta ai consumi, ha avuto l’effetto di accrescere di 0,5 punti percentuali la quota di economia irregolare.
Negli anni scorsi, comunque, diversi studi di matrice europea hanno rilevato che da soli i vincoli al cash sono insufficienti a contrastare i fenomeni di evasione. E infatti, anche in Italia il set delle misure non contempla solo il limite al trasferimento di denaro, peraltro differenziato in alcuni casi a livello settoriale (dai mille euro per i money transfer ai 15mila euro per i turisti extracomunitari). Oltre ai vincoli, ci sono diverse agevolazioni: alcune destinate a cambiare, altre ancora in attesa di attuazione.
Un incentivo che la manovra di Bilancio non ripristina per il 2022 è il cashback di Stato: meccanismo, introdotto dal governo Conte-bis, che rimborsa una parte degli acquisti pagati in digitale e che è stato sospeso dal governo Draghi il 1° luglio scorso.
È vero che il cashback ha favorito un maggior ricorso ai mezzi di pagamento alternativi e – come evidenzia l’Osservatorio del Polimi – ridotto lo scontrino medio di oltre l’11% in un anno (da 51,70 a 45,70 euro), ma lo ha fatto a un costo rilevante: circa 1,5 miliardi a semestre. E proprio l’aspetto economico potrebbe costituire il muro contro cui andranno a sbattere gli emendamenti parlamentari – già annunciati – che puntano a ripristinarlo.
Altro discorso per la lotteria degli scontrini, incentivo che ha bisogno di un restyling. Secondo gli ultimi dati del Mef, a fronte di 5,9 milioni di codici rilasciati a 4,7 milioni di cittadini, solo un esercente su quattro (il 26,8%) trasmette i dati della lotteria. Per incrementarne l’utilizzo, il ministero valuterà l’introduzione di premi istantanei, che richiede però adeguamenti tecnici. Non ha funzionato a pieno, infatti, la formula di dare premi anche ai negozianti.
Coinvolgere gli esercenti per incrementare i pagamenti alternativi al contante è una strada che il Governo ha già percorso innanzitutto elevando dal 30 al 100% il credito d’imposta sulle commissioni pagate per l’uso dei Pos tra il 1° luglio 2021 e il 30 giugno 2022. Ma anche stabilendo due tax credit sull’acquisto, il noleggio e l’utilizzo di dispositivi Pos: il primo per i dispositi “standard” e il secondo per i Pos “smart”. Quest’utlimo, però, scatterà solo nel 2022.