di Maurizio Pimpinella
Fino a non molto tempo fa, le imprese attive nel settore fintech erano percepite dagli operatori tradizionali essenzialmente come degli avversari. La nascita di una nuova start-up innovativa in ambito finanziario, infatti, era capace di far sobbalzare vari addetti ai lavori per il timore di vedere ristretto la propria fetta di mercato.
Certo, la stessa normativa europea, come ad esempio quella relativa ai pagamenti, è improntata ad una maggiore apertura (e quindi concorrenza) nel settore dei servizi finanziari ma questa asseconda e regolamenta un fenomeno che, prima o poi, sarebbe comunque arrivato. Il problema è sempre risieduto, invece, da un lato nella velocità con cui il cambiamento imposto dagli incumbent si fa strada nel settore e dall’altro negli investimenti in competenze, ancora troppo spesso indirizzati ad un livello basico anziché avanzato e multi sfaccettato.
Da un po’ di tempo, però, questa visione per certi versi ridotta sta cambiando. Nella sua relazione 2020, lo stesso Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco aveva evidenziato con poche ma incisive parole l’importanza che fintech, digitale e pagamenti possono avere per lo sviluppo del nostro Paese definendolo un “incubatore di innovazione”.
È evidente, pertanto, che questa innovazione non sia né fine a sé stessa né ad esclusivo appannaggio di quegli operatori che la propongono. È anzi da sottolineare la sua funzione di stimolo e di acceleratore di idee ed iniziative tese a contribuire alla crescita dell’intero sistema economico-finanziario nazionale. Recentemente, la crisi sanitaria e i lockdown globali hanno ulteriormente contribuito ad accelerare un cambiamento che proviene però da lontano.
A differenza del numero relativamente ristretto di operatori fintech in Italia (444 secondo il report Cetif fintech lighthouse 2021, di gran lunga inferiori rispetto ai 1.373 dell’Inghilterra), negli ultimi 18 mesi, infatti, gli italiani hanno notevolmente accresciuto il ricorso ai servizi finanziari innovativi, cresciuti con una media superiore al 30%, una tendenza destinata a consolidarsi nel tempo.
Il valore aggiunto che la finanza tecnologica può portare a tutto il settore è poi confermato da due progetti cui lavora la Banca d’Italia: il Milano hub e la Sandbox fintech che sfruttati congiuntamente potrebbero sviluppare in maniera determinante l’ecosistema italiano.
I servizi finanziari a valore aggiunto sono destinati quindi ad aumentare la loro presenza e non bisogna necessariamente considerarli nemici delle banche, anzi, i due mondi sono in gran parte complementari, tanto è vero che i progetti più interessanti possono derivare proprio dalla loro collaborazione.
Le start-up nel fintech offrono ai grandi gruppi bancari la possibilità di adattarsi alle sfide tecnologiche del loro settore. Sotto questo profilo, quindi, le imprese fintech rappresentano il futuro dei servizi bancari tanto che secondo la recente ricerca ABI Lab Report 2021 – ICT scenario and market trends for the banking sector, ben il 64% delle banche vogliono fare partnership con aziende dell’area fintech.
Dal canto loro, le banche, e soprattutto quelle di grandi dimensioni, sono anche propense a creare degli spazi di sperimentazione per le iniziative fintech così da fornire esse stesse la linfa necessaria all’aggiornamento del modello dei servizi finanziari. Si tratta di un do ut des che consentirebbe potenzialmente agli istituti bancari di diventare l’ecosistema o la piattaforma di aggregazione di servizi finanziari innovativi, rimanendo tra l’altro un punto di riferimento per i clienti presenti e futuri.
Così come il modello del commercio elettronico si sta indirizzando verso una natura omnicanale e phygital, anche quello dei servizi finanziari è destinato a diventare ibrido. A ciò, però, difficilmente si arriverà tramite lo sviluppo parallelo di due modelli antitetici quanto piuttosto in virtù della collaborazione e della contaminazione tra di essi.