di Maurizio Pimpinella
Ad aprile 2021, secondo le rilevazioni della Banca d’Italia, il debito pubblico nazionale ha fissato un nuovo record toccando la quota di 2.680 miliardi di euro, crescendo dell’importo di una manovra finanziaria di ampio respiro (29,3 miliardi) in un solo mese. Si tratta di un’ascesa apparentemente inarrestabile anche se in parte prevista a causa dello stress cui è stata sottoposta la finanza pubblica nell’ultimo anno e mezzo, la cui proporzione però incute timore. L’Unione nazionale consumatori ha calcolato che il livello di debito suddiviso per famiglia è arrivato alla cifra di 102 mila e 337 euro, mentre per singolo individuo questo ammonta “solo” a 45 mila euro.
È evidente che, per quanto ancora sopportabile, una tale situazione non sia più a lungo sostenibile senza interventi risanatori mirati, che pure avrebbero dovuto avere luogo già da tempo.
Per stabilire le cause di questo fenomeno possiamo individuare in tre componenti le principali mangiatoie presso cui il debito pubblico trova costante conforto e piena soddisfazione:
- L’evasione fiscale;
- Gli sprechi della pubblica amministrazione;
- I debiti che imprese e cittadini hanno nei confronti dell’amministrazione stessa;
Dei primi due punti ho già parlato diffusamente in un altro mio articolo evidenziando che, messi assieme, evasione e sprechi ci costano circa 300 miliardi di euro ogni anno, ciò che dovrebbe condurre al più presto ad una riforma del fisco e alla revisione della spesa pubblica.
Per quanto riguarda il terzo punto, invece, siamo spesso tentati dal paradosso secondo il quale l’Agenzia delle Entrate – Riscossione è essenzialmente vista come il “volto cattivo” del fisco, senza considerare che i suoi mancati introiti contribuiscono a creare danni all’intero sistema.
I conti sono tristi e presto fatti. Dal 2000 ad oggi, infatti, – secondo le rilevazioni delle Istituzioni finanziarie nazionali messe assieme dal Sole 24Ore – le tasse e le multe non pagate ammontano alla mostruosa cifra di 930 miliardi di euro, pari a ben l’87% dei crediti complessivi, riconducibili a 163 milioni di cartelle e imputabili a 18 milioni tra cittadini, imprese e professionisti.
Si tratta quindi di una cifra di poco inferiore a un terzo del totale del debito pubblico italiano che, se incassata, contribuirebbe a renderlo notevolmente più sostenibile. La stragrande maggioranza dei debitori del fisco (12,5 milioni di individui) sono poi persone fisiche senza partita iva, mentre nel 79% dei casi il debito è maturato nei confronti dell’Agenzia delle Entrate o dell’Inps (11,6%), e in misura minore nei confronti di altri enti, anche territoriali, man mano tra l’altro che il debito stesso decresce di entità.
Mi rendo conto che parlare di “debiti” dei cittadini nei confronti dello Stato può sembrare poco coerente se consideriamo che proprio la PA è debitrice nei confronti delle imprese italiane di una cifra che la CGIA di Mestre calcola in circa 50 miliardi di euro e che il peso della burocrazia incide sul fatturato delle imprese dal 4% per le piccole al 2,1% per le medie (dati Confindustria – Assolombarda). Eppure, i due fenomeni sono strettamente collegati ed entrambi intersecano e contribuiscono ad accrescere il livello del debito pubblico.
A questo proposito, però, potrebbe essere lo Stato a fare il primo passo pagando i suoi debiti od offrendo almeno un credito fiscale corrispondente (immediatamente utilizzabile) nei confronti delle imprese. Certo, i suoi 50 miliardi di debito sono una piccola parte di ciò che invece dovrebbe ricevere e non tutte le imprese sono allo stesso tempo debitrici e creditrici, anzi. Tuttavia, questo primo passo potrebbe contribuire ad innescare un percorso virtuoso che contribuirebbe almeno a percepire il ruolo dello Stato e delle autorità di finanza e riscossione meno invasivo nei confronti di persone fisiche e giuridiche, mostrandone invece il lato umano.
Il problema però è che buona parte di questi debiti sono ormai diventati molto difficili da recuperare e, in alcuni casi, farlo è addirittura sconveniente dal punto di vista economico. A ciò si aggiunge anche il fatto che l’anagrafe dei conti non risponde con efficienza alle esigenze di riscossione portando al risultato di essere più attendibile per le verifiche degli anni passati che non per considerare la situazione attuale. Le criticità relative alla gestione delle banche dati in Italia è particolarmente rilevanti e non è qui oggetto di analisi, va però rilevato che ciò comporta un ulteriore elemento di spesa e complicazione.
La sostanziale inesigibilità di parte consistente di questa cifra monstre rappresenta il vero scoglio da superare che non solo influisce negativamente sulla procedura stessa di riscossione ma inficia anche la certezza del diritto e il buono e reciproco scambio di diritti e doveri che fa parte della dialettica tra Stato e cittadini.
Sarebbero necessarie misure strutturali e tempestive per evitare di perdere definitivamente un tesoretto di inestimabile valore in termini economici e di fiducia tra PA e cittadini.
Evasione, sprechi e tasse non pagate gravano su ognuno di noi creando inefficienze e disagi, ma se per due di questi mostri approcciassimo con la celebre frase del Presidente Kennedy: “non chiediamoci cosa il nostro Paese possa fare per noi, ma chiediamoci cosa noi possiamo fare per il nostro Paese”, forse ci farebbero un po’ meno paura e anche lo Stato – che non può essere un eterno cane da guardia – sarebbe più simile a quanto ci aspettiamo.