di Maurizio Pimpinella
Negli ultimi trent’anni, un po’ tutti i governi hanno dichiarato guerra a quel Moloch che è l’evasione fiscale. Questa col tempo ha perseverato nel fagocitare senza ritegno ingenti risorse sottraendole alle casse dello Stato, che sarebbero state, invece, particolarmente utili considerato l’alto tasso di spesa pubblica cui siamo abituati, fino a raggiungere l’entità standard di circa 110 miliardi l’anno. Ciò significa che, relativamente ai fondi del Pnrr, ogni due euro ricevuti ogni anno uno è sostanzialmente impegnato dall’evasione fiscale. Per questo motivo, una radicale riforma fiscale, unita ad una penetrante azione di contrasto, sono probabilmente la principali iniziative cui fare ricorso in tempi brevi. Difatti, nelle tabelle del Pnrr, il governo Draghi si impegna con la Commissione UE a far calare del 15%, entro la fine del 2026 e rispetto ai dati del 2019, la cosiddetta “propensione a evadere”. Cioè la differenza tra il gettito che l’erario incasserebbe in un mondo di contribuenti onesti e quello effettivo. Nella versione del Pnrr inviato alla Commissione Europea, si dice a proposito dell’evasione fiscale che “aggrava il prelievo sui contribuenti onesti, sottrae risorse al bilancio e introduce distorsioni” nell’economia. Si tratta quindi di un giudizio che non ammette repliche e che aiuta a fare chiarezza sulla decisione con cui l’esecutivo intende affrontare la questione. Tra l’altro, per quanto riguarda ristori e sostegni, l’evasione fiscale ha creato danni anche a quelle imprese che vi hanno fatto ricorso in un tragico autogol che crea loro ulteriori problemi, essendo i ristori stessi calcolati sulla percentuale della perdita del fatturato medio mensile subita. Una situazione che si rivela quindi paradossale e persino grottesca se non fosse però tremendamente dolorosa per i lavoratori e le stesse imprese.
Tanto basterebbe per mettere in campo ogni strumento a disposizione per vincere quella che è a tutti gli effetti una sfida cruciale per il nostro Paese, condizionato tra l’altro da un ingente spesa in welfare state, un livello di occupazione poco costante che a settembre 2020 era del 58,2% e da un tasso di natalità tra i più bassi del mondo. Ed in effetti si stanno iniziando ad adottare nuovi approcci per ridurre l’incidenza dell’evasione fiscale sotto le sue varie forme. In questo scenario, il ricorso ai pagamenti elettronici, propugnato a partire dalla svolta cashless della legge di bilancio del 2020 e favorito dalla pandemia, può considerarsi un buon incentivo. Tuttavia, non può certo essere l’unico, né lo si può caricare di eccessive aspettative né si possono considerare i pagamenti elettronici come uno strumento di “caccia all’evasore” quanto piuttosto di digitalizzazione. La diversificazione tecnologica degli strumenti di contrasto deve, anzi, essere una priorità, tanto che la stessa Agenzia delle Entrate sta adottando un sistema complesso che comprende l’analisi sistematica di banche dati, conti, incrocio ed analisi dei big data e il ricorso all’intelligenza artificiale. Insomma, anche le istituzioni finanziarie italiane si preparano ad entrare nel XXI Secolo. Le iniziative descritte sono tutte interessanti e produrranno effetti se continuate con sistematicità nel medio periodo, cui va affiancata però anche una decisa riduzione della tassazione in capo alle imprese e sul costo del lavoro e una più ficcante opera di educazione civica alla legalità di tutti i cittadini.
Collegata all’evasione vi è poi un’altra piaga di entità addirittura più gravosa per lo Stato e che crea importanti disagi anche in capo ai cittadini: si tratta degli sprechi dell’amministrazione che constano secondo la CGIA di Mestre in circa 200 miliardi di euro l’anno, proprio il doppio della cifra stimata per l’evasione, per un totale di oltre 300 miliardi di euro che ogni anno vengono letteralmente perduti o sperperati e che, tra l’altro, contribuiscono a creare ulteriori danni e inefficienze. Se, giustamente, il contrasto all’evasione fiscale è un obiettivo da perseguire nel medio e nel breve periodo, attraverso iniziative normative, sanzioni, ma anche incentivi, non meno urgente è il ricorso a quella famosa spending review parzialmente avviata tempo fa ma mai portata a termine, anche perché nella gestione delle risorse dello Stato non vi è solo spreco ma ovviamente anche dislivello tra le amministrazioni e nei servizi. Tra l’altro, pur non volendo giustificare nel modo più netto il fenomeno dell’evasione, proprio alcune delle inefficienze dell’amministraiozne contribuiscono a creare i presupposti acciò si verifichi. Basti pensare a questo proposito che:
- il costo per le imprese per gestire i rapporti con la PA è di 57 miliardi ogni anno (fonte The European House Ambrosetti);
- la PA ha 53 miliardi di debito nei confronti delle imprese (fonte Banca d’Italia);
- i limiti infrastrutturali incidono per circa 40 miliardi sulle attività commerciali (fonte CER eures);
A questi numeri andrebbero poi aggiunti i costi relativi alla pressione fiscale, alla corruzione e della giustizia civile.
Insomma, l’Italia si trova di fronte ogni anno ad una vera e propria montagna da scalare di debiti e mancati introiti che pesano come un macigno su molti dei servizi essenziali offerti ai cittadini e che partecipano al lievitare dell’immenso debito pubblico. Immaginiamo solo se nell’ultimo anno, anziché preoccuparci dei tagli fatti alla sanità e ad altri servizi, avessimo avuto a disposizione tali risorse. Forse, non ci sarebbe stata alcuna discussione per il MES, non avremmo così tanto bisogno delle risorse del Pnrr per rilanciarci e imprese e cittadini sarebbero meno in affanno con i ristori. La stessa cosa, potrebbe valere per la ricerca, per la formazione, per le infrastrutture e per la digitalizzazione. L’Italia sarebbe semplicemente un altro Paese, più moderno ed efficiente e più vicino a quello che ci auguriamo un giorno possa diventare.