di Giuseppe Guglielmo Santorsola
Il debito pubblico italiano si “arricchisce” di un nuovo segmento nella sua ingegneria finanziaria alla ricerca di nuovi canali di raccolta del risparmio. È stato collocato il primo BTP Green; che ha incontrato una fortissima domanda: 80 miliardi di euro su un’offerta di 8,5 miliardi di euro. Una emissione che si accosta a numerose altre iniziative già realizzate altrove o in costo di esecuzione. Nessuna particolare innovazione tecnica, un’importante novità sotto il profilo della destinazione dei fondi raccolti, riconducibile alla riclassificazione dei titoli di spesa del bilancio pubblico in termini di compliance ai fatto E, S e G della finanza socialmente responsabile. Il bilancio di spesa del 2021 individua circa 35 miliardi di euro riconducibili ai suddetti principi. Restano da valutare i criteri di DNSH (do nosignificantharm) come previsto nei criteri tecnici della tassonomia UE. Nulla è stato incluso nella fase di pre-emissione, può esserlo nella relazione sull’impatto, considerando che la valutazione è uno dei pilastri chiave alla base anche dello standard dei green bond dell’UE. Ancora più interessante è il considerare le spese non ammesse dalla citata tassonomia UE e oggetto della rendicontazione annuale.
Possiamo aggiungere qualche riflessione sulla consistenza del fattore G, considerando la qualità della governance in generale di uno Stato e, in particolare, di quello che non dispongono di un rating di alta qualità (il BBB italiano e l’outlook negativo). Sottostante, vi è la considerazione che se tutti e tre i fattori ESG debbano essere presenti e consistenti per qualificare un’emissione. Nessun dubbio sulla E, adeguatezza della S, qualche incertezza sulla G, non solo per l’Italia. Ulteriormente, si potrebbe considerare anomala e fuori dal contesto generale attuale una spesa pubblica che non fosse attenta ai fattori E ed S.
Modificando l’ottica di valutazione, acquistare un titolo ‘green’ non significa compromettere il rendimento di un investimento. Questo tema condizionerà la crescita del mercato delle obbligazioni “verdi” in futuro. Il rendimento nominale del nuovo strumento si aggira intorno all’1,50%; non di per sé così particolare alla luce di un potenziale ritorno di maggiore inflazione alla fine del periodo di lockdown. Più immediata è la valutazione sulla lunghezza dell’emissione, 24 anni, molto estesa rispetto ad altri bond, rendendo l’Italia capace di offrire una maggiore diversificazione sulla curva dei rendimenti con titoli dalle scadenze lunghe. Consideriamo anche che il Tesoro emette circa 550 miliardi di euro su base annua; 8 miliardi di euro ne sono l’1,5%.
Ancora interessante è il considerare il prezzo di emissione di 99,168, cono rendimento a scadenza all’1,547%. Un livello più altro del rendimento offerto dal BTp 2041, che rende in pari data sotto l’1,40%. In aggiunta, la data di godimento è il 30 ottobre 2020. Alla fine di aprile si corrisponderà la prima cedola semestrale dello 0,75%. Un flusso interessante in meno di 60 giorni dall’uscita di cassa dell’investitore.
Osservando il punto di vista di quest’ultimo nella versione retail, egli non è sottoscrittore del titolo, ma solo acquirente sul mercato secondario, l’esatto contrario di quanto accade per BTP Italia e BTP Futura; un approccio che sarà opportuno valutare in futuro in quanto a comportamento d’acquisto, tanto più se i tassi d’interesse dovessero muoversi verso l’alto. Ad evidenza, i prezzi sarebbero più bassi stimolando la domanda e rendendo questi titoli competitivi rispetto alle nuove emissioni, con una pressione alimentata dai pochi titoli disponibili. Sarà interessante vedere la dinamica dei prezzi fra MTS e MOT, con il relativo impatto sui prezzi presso gli sportelli bancari.
Infine, il mercato si attente ulteriori emissioni per valutarne le modifiche, le reazioni del primo titolo e per confermare una tendenza qualitativa rispetto alle emissioni tradizionali.
Articolo già pubblicato sulla rivista Advisor