La Corte Ue completa l’inquadramento delle app abbinate al trasporto pubblico non di linea. Ieri, con la sentenza sulla causa C-62/19, ha sancito che non c’è alcun bisogno di autorizzazione per le app che si limitano alla mera ricerca di un taxi libero da parte del cliente. Si chiarisce quindi un principio della sentenza di tre anni fa che aveva coinvolto Uber. Con la conseguenza che ora, in Italia, il ministero delle Infrastrutture dovrebbe accelerare l’attuazione della riforma del settore avviata a inizio 2019 dalla conversione del Dl 135/2018, che dovrebbe sciogliere i nodi della lunga contesa tra tassisti e noleggiatori con conducente (Ncc, tra i quali si può inquadrare il servizio Uber Black).
In sostanza, ora la Corte Ue ha fissato i requisiti che un’attività di intermediazione nei trasporti non di linea deve avere per essere considerata «servizio della società dell’informazione» e quindi soggetta solo alla direttiva 2000/31/Ce sul commercio elettronico, che non prevede obblighi autorizzativi come invece ce ne sono nei trasporti. Occorre che la app si limiti a elencare ai clienti quali vettori (tassisti, nel caso della sentenza che si è presentato a Bucarest) sono disponibili nelle vicinanze.
Principi coerenti con quelli che il 20 dicembre 2017 avevano portato la Corte (causa C-434/15) a perimetrare l’ambito di applicazione della direttiva, specificando che l’intermediazione di servizi svolti da conducenti professionali è esente da obblighi autorizzativi. La app si porrebbe fuori della direttiva, con necessità di autorizzazione pubblica, solo se consentisse di operare anche ad autisti non professionisti (non autorizzati in proprio). Sul fronte italiano, la conseguenza più evidente è che non ci sono più dubbi giuridici a frenare l’attuazione della riforma.