di Giuseppe Ricciuti e Alessia Visaggio
Partiamo da cosa significa però crisi: “Perturbazione o improvvisa modificazione nella vita di un individuo o di una collettività…”, ma ancora più importante valutarne il significato etimologico che è: scelta.
Quindi direi che un approccio sensato per arginare le criticità derivanti da questi periodi sia effettuare scelte, scelte ponderate che in primis possano farci traghettare ed arrivare al termine della crisi stessa e successivamente farci riprendere la corretta via. Ma perchè no! anche scelte che ci possano far ridisegnare questa corretta via.
Comunque scelte, per non doverci guardare indietro e vivere di rimpianti per non avere agito in tempo.
L’unica cosa che non si può fare è attendere in modo immobilistico, si deve scegliere. La scelta è sempre per sua natura un atto di maturità, non è detto che sia vincente ma almeno si è fatto un passo in avanti. Si è valutato un modo per andare oltre.
Oggi mi sembra di poter dire che la crisi più pericolosa, chiaramente dopo quella economica e della saluta, è quella relativa all’innovazione.
Non stare al passo con i tempi, di questi tempi sarebbe un errore davvero non più gestibile.
Innovazione però non è solo tecnologica, ma anche e soprattutto capacità di pianificare. In una realtà organizzata, in una situazione ben gestita e pianificata ogni processo prevede un’azione e ogni azione coinvolge un risultato.
Se alcune crisi potrebbero essere evitate ce ne sono alcune totalmente imprevedibili. Ed è un po’la situazione che stiamo vivendo adesso. Un “problema” universale ci attanaglia e noi non abbiamo piani strutturati per affrontarlo: l’unica arma che abbiamo al momento è la pianificazione del dopo, che significa fronteggiare il problema e valutarne però immediatamente le soluzioni future.La difficoltà maggiore nel presentare sinteticamente una metodologia per affrontare le situazioni di crisi sta nell’impossibilità di compilare un elenco dei possibili aspetti che si possono incontrare.
Quindi è impossibile definire strategie standard per affrontare tipologie di crisi anche assimilabili. Non è possibile individuare un modello teorico di gestione della crisi, soprattutto se rigido. Per affrontare la crisi si deve puntare su due aspetti: prevenzione ed esperienza.
Ogni crisi ha un inizio e una fine, quello che sta nel mezzo è il percorso della crisi, di qui la necessità dell’esperienza.
Per intervenire tempestivamente è necessario capire che la crisi è anche un problema di comunicazione: sia interna che esterna. La parola d’ordine è quindi: trasparenza.
Tutti devono conoscere il ruolo ed i comportamenti da adottare per contribuire ad isolare l’avvenimento e/o limitare i danni.
L’obiettivo è quello di costruire una scala di priorità che consenta di valutare le situazioni più probabili in modo da diffondere, in tutta l’organizzazione, cultura e attenzione per la crisi e la sua gestione.
Mai cedere all’immobilismo ed isolare la gestione della crisi dall’ordinaria amministrazione.
Per gestire efficacemente le situazioni di crisi vanno quindi approfonditi due aspetti: uno di prevenzione (gestione del rischio: risk management) e uno di preparazione al controllo dell’avvenimento qualora si verificasse (gestione della crisi: crisis management).
La crisi non è un fattore esterno, ma un processo congenito nel fare. Va tutto bene finchè andrà tutto bene, ma ad un certo punto arriva il problema e se lo viviamo come qualcosa di esterno rischiamo di “entrare in crisi”, cioè rischiamo di affrontare il problema sconnettendolo dal nostro processo organizzativo e quindi senza quei link logico/funzionali che sono propri dei processi necessari al superamento della crisi.
La soluzione di una crisi scollegata dal contesto rischia di creare un processo diverso (a se stante), che potrebbe addirittura essere più pericolo della crisi stessa.
Realtà e crisi sono due fattori strettamente correlati, si dovrà quindi ridisegnare una nuova realtà letta con gli occhi della crisi.
Di qui il ruolo della comunicazione, che non dovrà rappresentare quello che sarebbe dovuto essere ma quello che sarà, per dare trasparenza ai fatti e sicurezza all’organizzazione nel riscontro di quello che in effetti avverrà.