In linea di massima, ci sono due modi per interpretare la cybersecurity: uno indirizzato a proteggere cittadini, imprese e apparati statali dagli attacchi esterni per favorire l’utilizzo del web e garantire il funzionamento dei servizi in un contesto sicuro; un altro in cui lo Stato cerca di autotutelarsi tanto da minacce esterne quanto da (presunte) minacce interne, limitando di fatto la libertà dei propri cittadini. Questa è la scelta fatta dal governo cinese. In ottemperanza alle nuove misure di controllo sul cyber spazio, infatti, il governo cinese richiederà agli operatori di telecomunicazioni di raccogliere (obbligatoriamente) scansioni dei volti quando registreranno nuove utenze di telefonia.
Un controllo diffuso di massa proprio in uno dei settori in cui è più rapida la crescita delle richieste da parte dei cittadini e, fino ad oggi, minore pur se sempre presente, l’ingerenza dello Stato.
Le implicazioni per la privacy associate alla raccolta dei dati ricavati dal riconoscimento facciale con questa modalità sono evidenti, ma per il momento non sembra che nessuno ci faccia particolare attenzione. Si tratta di una schedatura forzosa della popolazione che se riesce a sfuggire ai sistemi più tradizionali è molto probabile che non possa sottrarsi a questa nuova modalità di tracciamento dei cittadini favorito anche dall’introduzione dell’intelligenza artificiale nel settore della telefonia mobile.
Ciò che impressiona, però, è la stretta collaborazione tra i produttori e il governo, e ancora più preoccupante è il dubbio che questi stessi operatori possano inviare al governo di Pechino i dati acquisiti all’estero.
Dubbi o congetture a parte, la costituzione di un vero e proprio stato di polizia anche col supporto delle più moderne tecnologie non è un lasciapassare tranquillizzante, ad ulteriore testimonianza che democrazia e crescita economica non devono necessariamente andare di pari passo.