In tutta Europa è stata dichiarata una guerra che punta alla drastica riduzione dei pagamenti in contanti anche, e talvolta soprattutto, per incentivare una più ampia cultura della legalità.
Valutare l’incidenza dell’uso dei contanti sull’evasione fiscale e interessi criminosi è un’impresa ardua che deriva dalla natura stessa – non tracciabile – dei pagamenti tramite banconote; inoltre, ciò induce anche qualche commentatore a non ritenere così stretto il legame tra pagamenti cash ed evasione fiscale. Fermo restando che nessuno vuole criminalizzare i cittadini che decidono di utilizzare le banconote per i loro acquisti in maniera del tutto legittima e legale è indubbio, almeno, sia che il contante sia maggiormente esposto alle manipolazioni dei pagamenti elettronici sia che i costi di gestione delle banconote (in Italia circa 10 miliardi di euro annui) siano diseconomici per tutto il sistema.
Tuttavia, stando ai dati UIF, in Italia, il 21% delle operazioni sospette ha a che fare con il contante (il 44% compresi i money transfer).
Altro discorso, in Italia, riguarda l’evasione fiscale che, secondo l’Agenzia delle entrate, è imputabile nella gran parte dei 190 miliardi complessivi al nero fatto dai professionisti.
Se volevamo cercare una relazione tra contanti e attività illecite (evasione compresa) basti dire che i paesi europei in cui si usa di più il contante sono anche quelli che hanno i tassi più alti di economia sommersa e corruzione, questo è quello che emerge dal report MORE di Transcrime – Università Cattolica. Al di là di ogni dubbio, questo è un dato inequivocabile.
La preferenza del contante non è, però, una peculiarità solo italiana. Stando agli ultimi rilevamenti della BCE, infatti, il 79% dei pagamenti giornalieri in Europa (il 54% del valore) è effettuato tramite contanti, soprattutto per quanto riguarda i pagamenti di piccola entità. Scorporando i dati, ci accorgiamo che nei paesi dell’Est, in Germania e in Austria i pagamenti cash sono oltre l’80% (ma, soprattutto in Germania, i dati dell’evasione sono piuttosto limitati) del totale – un dato superiore persino all’Italia che si posiziona comunque a livelli alti. Ciò che colpisce dell’Italia è il grande livello di differenza tra Milano (60% dei pagamenti cash) e Crotone (90% dei pagamenti cash), il tutto con il secondo parco POS d’Europa.
In aggiunta, tutto ciò si verifica in presenza di limiti all’utilizzo dei contanti (variati nel corso degli anni e tutt’ora in fase di rimodulazione nella prossima legge di bilancio), che non sono, però, presenti in buona parte degli altri paesi europei, Germania compresa, ad evidenziare il fatto che l’utilizzo lecito o illecito dei contanti rientra soprattutto in un contesto di tipo culturale.
Secondo un’analisi recente del Sole 24 Ore, infatti, “la presenza di soglie non è sufficiente per ridurre l’uso del contante in un paese. Nonostante l’assenza di limiti, in Svezia o in Inghilterra i cittadini continuano a preferire carte di credito e pagamenti mobile. Viceversa, in Grecia, che ha il limite più basso di tutta la Ue, le transazioni in contante rappresentano più dell’80% del totale”.
I dati finora elencati, sono in contraddizione con quanto emerge nel mercato dei pagamenti cinese. L’importo dei pagamenti non in contanti in Cina nel terzo trimestre dell’anno, secondo quanto dichiarato dalla Banca Centrale Cinese, è aumentato, infatti, del 54,8% su base annua.
La Cina è uno dei principali paesi in cui l’economia senza contanti ha maggiore rilevanza. Nello specifico, il giro d’affari 926.030 miliardi di yuan (131.710 miliardi di dollari) e i mezzi di pagamento non bancari hanno movimentato 63.990 miliardi di yuan via internet durante il periodo, in crescita del 23,04% rispetto al terzo trimestre dello scorso anno. Osserviamo quindi un mercato che si corre rispetto a noi, proponendo un modello di pagamenti digitali avanzato e già pienamente assimilato dalla popolazione che, anzi, lo vede come “prima opzione” di scelta quando deve pagare.