Dal commercio elettronico alla politica estera, di questi tempi, il passo è più breve di quanto si possa immaginare. Anche se non è una novità assoluta, è forse la prima vera volta in cui una big tech americana si schiera così tanto apertamente in senso contrario nei confronti dei cinesi.
Amazon ha appena bloccato 20 milioni di dollari di merce chiudendo i 340 negozi di un cliente top: Shenzhen Youkeshu Technology, collegato a Tiza, società di software di Nanjing quotata a Shenzhen.
Amazon accusa Youkeshu di aver utilizzato una pratica vietata nell’e-commerce, quella delle recensioni sugli acquisti a pagamento fatte per gonfiare illegalmente il business.
È solo l’ultimo atto di una lunga serie di schermaglie tra le 200mila aziende presenti su ciò che resta in Cina del gigante americano che, due anni fa, conscio dell’impossibilità di competere con Alibaba&co., ha chiuso il quartier generale lasciando la divisione Amazon Prime Crossborder che ha grandi potenzialtà.
L’e-commerce in generale ha raddoppiato il fatturato grazie alla pandemìa, ed è proprio verso gli Usa che ora si stanno dirigendo i prodotti a marchio cinese. L’ultima edizione di 6.18, il festival dell’e-commerce via streaming fondato da JD.com, ha fatto emergere almeno una ventina di nuovi marchi cinesi per giovani che hanno rafforzato l’orgoglio nazionale anche dal punto di vista del riscatto sulla qualità. Ovviamente, online viaggia anche molta paccottiglia e Amazon ne è ben conscia. I cinesi, a loro volta, l’accusano di essere incappata in questi due anni in una serie di incidenti di percorso.
Janet Yellen, segretario al Tesoro americano, ha appena chiuso virtualmente la stagione dei dazi, che tanto male hanno fatto anche ai consumatori americani. Ma per i cinesi quell’incubo non è ancora finito perchè i dazi della Fase 1 sono ancora operativi.