di Maurizio Pimpinella
«Gli sconti fiscali per gli esercenti che utilizzano il Pos possono essere uno strumento valido per incentivare i pagamenti elettronici, ma rischiano di essere labili se non si introducono sanzioni in caso di mancato utilizzo. Mentre per quanto riguarda l’iniziativa del cashback, che il governo ha deciso di stoppare nella seconda parte dell’anno, è un intervento che ha dato buoni risultati per la modernizzazione del Paese, non una manovra per ricchi, anche se può sempre essere migliorato». Parola di Maurizio Pimpinella, presidente dell’Associazione Prestatori Servizi di Pagamento (Apsp) che raccoglie i principali operatori nazionali ed internazionali del settore dei pagamenti.
Domanda. Con l’introduzione del credito d’imposta per il noleggio e l’acquisto dei pos e l’incremento dal 30 al 100 per cento del tax credit sulle commissioni, il Governo ha spostato letteralmente gli incentivi dai consumatori ai merchant. Come valuta questa scelta?
Risposta. La soluzione introdotta è interessante, di certo con i crediti d’imposta su pos e commissioni non ci sono più scuse per non accettare i pagamenti elettronici. Ma l’effetto anti evasione dell’iniziativa, che dovrebbe essere garantito anche dalla trasmissione automatica dei corrispettivi, dovrà essere valutato con calma. Nonostante la convenienza, per il merchant rimane un labile obbligo di dotarsi di pos visto che non sono previste sanzione in caso di mancato utilizzo. Ciò rende ancora una volta parziale un’iniziativa di per sé lodevole.
D. Cosa dicono i numeri. Il cashback ha funzionato o no?
R. Sono stato tra i primi, proprio sulle pagine di MF-Milano Finanza, a sostenere che il cashback non fosse un totem, ma uno strumento migliorabile. Eppure sappiamo che, dal dicembre 2020, sono 8,9 milioni gli italiani aderenti al programma, i quali hanno effettuato 784,4 milioni di transazioni. Nel primo semestre 2021, l’iniziativa aveva a disposizione un fondo di 1,37 miliardi, cui vanno aggiunti i 223 milioni del periodo sperimentale. Ma i dati più interessanti riguardano l’incidenza sulle tipologie di spese. Oltre l’80% della spesa è per importi inferiori ai 50 euro, in cui spicca il 16,3% per gli importi inferiori ai 5 euro. In questi numeri c’è la rivoluzione copernicana che ha inciso sulle abitudini di spesa degli italiani, in un processo certamente lento che era solo all’inizio in un Paese, come l’Italia, tradizionalmente resistente a certi cambiamenti e caratterizzato da un grado di alfabetizzazione digitale tra i più bassi in Europa e un livello di incidenza del contante che ci relega tra le 35 peggiori economie mondiali.
D. Eppure tra le motivazioni che hanno portato allo stop c’è il fatto che è stata vista come una misura che ha avvantaggiato i ricchi…
R. Trovo un po’ anacronistico fare distinzioni tra ricchi e poveri, preferirei parlare di digitalizzati e non digitalizzati, anche perché possedere un bancomat, carta di credito, una prepagata o una app di pagamento, come decine di milioni di italiani, non li rende automaticamente dei ricchi, ma solo dei consumatori che hanno compreso i vantaggi della moneta elettronica e delle procedure digitali. Investire in digitalizzazione e nei pagamenti elettronici significa investire in sicurezza, equità e inclusione sociale. Molte società di pagamento in questi mesi hanno aggiunto al cashback di stato dei loro piani di incentivo e probabilmente, visti i buoni risultati, continueranno a farlo.
Pubblicato in originale su Milano Finanza del 6 luglio 2021