di Maurizio Pimpinella
A seguito dei tragici fatti di Palermo, il Garante per la privacy ha disposto l’immediato blocco di TikTok relativo all’uso dei dati degli utenti per i quali non sia stata accertata con sicurezza l’età anagrafica. Si tratta di un atto dovuto ed è rimarchevole che sia arrivato con straordinaria rapidità ma rimane anche una precauzione, purtroppo, tutt’altro che risolutiva.
Che si sia trattato di app, social network o forum, negli ultimi anni ci siamo scontrati molto spesso con eventi più o meno tragici riguardanti episodi di bullismo, autolesionismo, adescamento sessuale o “strani giochi” finiti varie volte in tragedia come il blue whale o Jonathan Galindo, solo per citare alcuni dei più recenti.
Inasprire le norme per il riconoscimento dell’utente è sicuramente un buon punto di partenza ma, come detto, non può risolvere questo genere di problemi per vari motivi. Anche ipotizzando un controllo anagrafico estremamente rigoroso (in cui quindi non sia possibile mentire sull’età), infatti, difficilmente si potrebbe interdire l’uso di TikTok o di altre app simili ai minori. Il fatto è chiaro: in molti casi il riconoscimento è effettuato direttamente dal genitore (che esercita già un blando controllo sullo smartphone e sulle app del minore) oppure, in famiglie in cui gli strumenti digitali sono condivisi (in Italia in particolare un fatto tutt’altro che raro), magari anche a fini didattici, i bambini prendono in prestito smartphone e tablet dei genitori, scaricano ed utilizzano sostanzialmente a piacere le loro app preferite.
Detto ciò, sia ben chiaro che nessuno vuole colpevolizzare i genitori, che pure dovrebbero essere i primi ad intercettare ciò che riguarda i propri figli, ed accusarli di negligenza, ma nemmeno sollevarli da ogni responsabilità. I pericoli esistevano anche quando app e smartphone non esistevano, oggi però, quelli del mondo digitale si sovrappongono a quelli del mondo analogico. La verità è che i pericoli che il web riserva ai più piccoli (così come alle persone più indifese) si nascondono in antri che spesso i genitori neanche conoscono. Questo è, purtroppo, il vero problema che ci rende così tanto disarmati: non avere sostanzialmente la reale percezione dei pericoli e di dove questi si annidino. Per questo, l’aiuto che istituzioni e associazioni forniscono deve essere indirizzato sia ai più piccoli sia alle loro famiglie.
L’aggiornamento normativo è un atto dovuto a tutela dell’intera comunità ma non può che essere solo il primo passo da compiere. Accanto a questo ne sono necessari molti altri, formalmente più soft ma, paradossalmente, dal potenziale più incisivo. Sia le famiglie sia, principalmente, la scuola (anche nelle attuali condizioni di difficoltà), infatti, devono essere messe in condizione proattiva di stimolare la formazione di un pensiero critico nei ragazzi che li educhi a sfruttare le enormi potenzialità del web insegnando loro al contempo come evitare i pericoli. Ciò che sarebbe peggio di ogni cosa, infatti, sarebbe quella di limitarsi ad instillare nelle menti più giovani il semplice timore del web senza educarli a sfruttare le potenzialità che vengono messe loro a disposizione. L’educazione digitale è uno straordinario strumento di crescita e sviluppo delle conoscenze e delle consapevolezze ma non può essere acritica. Imparare a distinguerne pregi e difetti aiuta a sfruttarne ancora di più le potenzialità. Ora come ora, infine, regolamentare il web e il suo mercato non significa necessariamente limitarlo e ridurne la capacità di sviluppo. Anzi, stabilire anche in questo contesto diritti e doveri come in una qualsiasi altra società civile, pur tenendo sempre presente le sue specificità, può essere un ulteriore stimolo alla sua crescita.