di Maurizio Pimpinella
La pandemia che stiamo affrontando da oltre due mesi si sta rivelando, nostro malgrado, sia una scuola sia un banco di prova che ha fatto emergere tutti i limiti ma anche le potenzialità dei nostri sistemi produttivi, sociali ed educativi.
In queste settimane, stiamo testando noi stessi e le nostre competenze affacciandoci ad un mondo più smart, flessibile e dinamico che già oggi contribuisce a cambiare profondamente le nostre abitudini accelerando alcuni di quei processi di trasformazione che sono stati avviati da tempo ma che, troppo, spesso ristagnano senza reali balzi innovativi.
Tra le tante implicazioni economiche e sociali convergenti alla crisi sanitaria, a breve, dovremo seriamente affrontare sia una crisi occupazionale sia una crisi dettata dal cambiamento del lavoro, delle sue tipologie e delle sue stesse modalità di svolgimento.
E’ chiaro che la crisi economica e quella occupazionale sono strettamente legate tra loro. Con un PIL destinato a crollare tra il 9 e oltre il 13 per cento, a seconda dell’ipotesi migliori o peggiori, le ripercussioni per i lavoratori sono e saranno notevoli.
Per ora, il Governo, cercando di fronteggiare la prima ondata di emergenze conseguenti al lockdown, ha stanziato importanti fondi per diverse categorie di cittadini, lavoratori e imprese. Qui, però, sono iniziati i primi problemi causati, in realtà, da un vecchio problema del nostro Paese: la mancanza di procedure (soprattutto pubbliche) agili, snelle e semplificate per l’ottenimento di bonus e finanziamenti. Questo è valso tanto per l’enorme mole di richieste di cassa integrazione ancora ferme presso l’INPS, quanto per le procedure per ottenere i finanziamenti bancari agevolati.
Mi permetto di dare un rapido flash. Per permettere al nostro Paese non solo di emergere dalla crisi economica, finanziaria, occupazionale e sociale ma anche di riacquistare quello smalto in termini di competitività che sembra aver perduto da troppo tempo – vanno bene le iniziative tampone come bonus e cassa integrazione (purchè vengano erogati correttamente e in tempi celeri) ma – anche a questo proposito – ritengo sia necessario procedere attraverso due principali direttrici in cui investire capitali, ingegni e sforzi normativi: la semplificazione (che in questo caso fa inevitabilmente rima con digitalizzazione) e l’educazione.
Questi – ritengo – sono i due principali canali che possono portare l’Italia ad un concreto sviluppo.
Non sono un giuslavorista, ma per lavoro e per esperienza conosco sia il mondo dell’impresa sia quello accademico sia gli aspetti più quotidiani della vita di ognuno di noi e da tempo mi sono reso conto che se non agevoliamo l’incontro tra le varie necessità dei cittadini, delle imprese, degli studenti e delle istituzioni il nostro sistema produttivo è destinato a rimanere impantanato in sabbie mobili da cui è quasi impossibile emergere.
Recentemente, anche il Governatore Visco ha parlato di semplificazione e digitalizzazione come un grande pilastro sul quale – assieme all’integrazione europea – fondare la ripartenza italiana. In Italia, ad esempio, tra tutti i livelli di governo e tra atti di natura amministrativa e legislativa, si contano circa 160.000 norme (dati CGIA), un numero fantasmagorico se paragonato alle 7000 francesi o alle 5.500 tedesche, il che di certo non agevola gli investimenti e la creazione di opportunità di impresa e di lavoro.
Per agevolarci nella semplificazione, l’unica soluzione è quella di digitalizzare il Paese attraverso procedure online più immediate ed intuitive, che richiedano poco tempo e poco sforzo per essere soddisfatte.
La trasformazione digitale può essere uno stimolo decisivo per lo sviluppo economico e sociale italiano, il cui modello deve completare la transizione dall’economia manifatturiera intesa nel senso più stretto del termine ad una di stampo innovativo in cui l’alto valore tecnologico rappresenta un plus di fondamentale importanza sul quale basare la crescita competitiva dell’intero Paese.
Questo passaggio ci avvicina al secondo pilastro che ritengo fondamentale per il rilancio: la formazione. Il fatto che ricopriamo ancora le posizioni di coda di tutti i principali indici di digitalizzazione nazionali ed internazionali è significativo dell’attuale generale inadeguatezza degli italiani a competere in un mondo dell’impresa e del lavoro che si è fatto globale e che porta la sfida sempre di più sul piano delle competenze professionali specialistiche e, spesso, soft.
In questi mesi di lockdown l’utilizzo degli strumenti digitali è aumentato: lo testimonia l’incremento, spesso esponenziale, nell’utilizzo del commercio così come dei pagamenti elettronici. Tutti fattori che accogliamo con piacere ma che non possono distogliere l’attenzione dal fatto che, al di là di poche e semplici funzioni, gli italiani mancano di competenze.
Ecco, quindi, individuato l’altro settore in cui investire. Per creare nuova occupazione dobbiamo sia mettere in grado le aziende di investire sia dare nuove e più innovative opportunità a giovani e meno giovani di essere competitivi e competenti nel mercato del lavoro. Perché, in questa fase, non esiste solo crisi ma dobbiamo anche essere in grado di “far tesoro” delle opportunità.
A partire, quindi, dai due pilastri principali, possono essere individuate 4 precise linee d’azione attraverso cui operare per rendere questa crisi un’occasione per l’occupazione.
- L’accelerazione della trasformazione digitale: ogni prodotto e servizio che viene venduto oggi ed ogni parte del lavoro e della sua esperienza può essere digitalizzato. Pertanto, occorre incentivare con politiche di supporto adeguate alle aziende tale trasformazione. In questo caso, l’economia digitale deriva dall’incontro delle esigenze di domanda e offerta con le piattaforme che permettono la loro comunicazione. Su ProntoPro.it, ad esempio, portale dove è possibile mettersi in contatto con figure svariate, dagli artigiani ai professionisti ordinistici (conta oltre 600mila iscritti), dal 4 maggio in poi sono esplose le richieste di contatto pervenute per gli architetti, con un aumento di oltre il 90% rispetto all’ultima settimana di febbraio. Su Habitissimo.it, sito specializzato nella ricerca di professionisti legati all’ambito immobiliare e delle ristrutturazioni, invece, a fronte di un calo delle richieste di geometri e ingegneri del 40% circa tra marzo e aprile (rispetto al 2019), nel mese di maggio è in corso una lieve ripresa, anche se ancora non su volumi natural.
- Siamo di fronte non ad un tipo di recessione come quelli già conosciuti ma ad una riduzione e trasformazione di offerta o di domanda causato dalla pandemia. Stiamo assistendo soprattutto ad una rapida trasformazione dell’esperienza del consumo, dell’organizzazione degli uffici, dei luoghi di lavoro e alla trasformazione dei prodotti. Stiamo riscontrando infatti che le aziende che hanno velocemente cambiato verso un low-touch il modello di delivery crescono e hanno successo. Adeguarsi a questo nuovo modello attraverso l’acquisizione di nuove competenze e nuovi strumenti è il modo più facile per rientrare nel mercato.
- Quello spostamento verso l’home-life che era avvenuto come necessità di risposta al lockdown sarà in parte duraturo. Abbiamo riscoperto con il lockdown il valore di un miglior work life balance. Fino a prima della pandemia, le strade erano affollate, con le conseguenze in termini di inquinamento, tutti correvamo, e lo stress era molto elevato. Abbiamo riscoperto il fitness a casa, il calore della cucina di casa, il giardinaggio, lo stare fra gli affetti più cari e molto altro. Tutto questo ora rappresenta un trend anche con nuove implicazioni economiche. L’incentivo allo smart working, quindi, può essere – investendo in competenze e mezzi, così come in un’efficiente infrastruttura internet, la soluzione per creare un perfetto bilanciamento tra qualità della vita e produttività.
- C’è una forte accelerazione della richiesta di competenze, ben più marcata rispetto a un trend già in parte in atto in precedenza, verso lavori di supporto e servizio: stiamo facendo passi da gigante verso un’economia sempre più di servizi e informazione. Questo significa che le nuove competenze di cui i lavoratori hanno bisogno sono più orientate all’ascolto attivo, all’apprendimento, al sostegno, all’aiuto, alla consulenza, alla persuasione. Queste, che sono tutte metacompetenze, diventeranno le competenze del prossimo presente e del futuro.
L’indicazione generale a mio parere dovrebbe essere quella di agevolare un massiccio investimento in corsi on line rivolti a coloro che sono in cassa integrazione per aiutarli a sviluppare questo genere di competenze soft e le competenze digitali. Compiuto questo primo passo, l’iniziativa potrebbe essere quella di riformare completamente il sistema scolastico ed universitario italiano indirizzando gli insegnamenti più verso il saper fare e il saper essere che verso la sola conoscenza fine a se stessa.