Non è tutto oro quello che luccica, cresce l’e-commerce ma le vendite al dettaglio perdono oltre il 20%
di Maurizio Pimpinella
Da settimane, ormai, andiamo descrivendo i cambiamenti che stanno coinvolgendo tutti noi, cittadini e consumatori sia dal punto di vista lavorativo, sia dal punto di vista delle abitudini di consumo e di pagamento.
Certo, in alcuni casi, due mesi potrebbero sembrare una semplice parentesi e la voglia di “normalità”, come mostrano questi primi giorni di Fase2 è fin troppo evidente, tuttavia, c’è da augurarsi che alcune delle buone pratiche sviluppate in queste settimane vengano mantenute anche in futuro: come una maggiore predisposizione alla tecnologia, un più diffuso e articolato utilizzo dello smart working e l’incremento dei pagamenti elettronici come strumento abilitante della vita quotidiana.
La crisi sanitaria e quella economica di cui oggi possiamo solo fare delle stime stanno fiaccando numerose imprese e settori produttivi fino a decretarne un profondo stato di cristi, tuttavia, tra questi ce n’è almeno uno che (almeno per il momento) sembrerebbe prosperare: il commercio elettronico. Il lockdown per questo settore è stato una vera e propria boccata d’ossigeno, portando ad incrementi estremamente rilevanti e del tutto insoliti in questo periodo dell’anno. Ad, esempio, secondo le stime effettuate da Salesforce relative al primo trimestre del 2020, il commercio elettronico è cresciuto a tal punto che il numero degli acquirenti online è aumentato del 40%, superando di fatto anche le performance relative allo scorso periodo natalizio, sperando magari di migliorare il 25° posto su 27 paesi che i dati Eurostat affidano all’Italia per quanto riguarda il ricorso al commercio elettronico nel 2019.
Tuttavia, secondo anche le stime effettuate da Netcomm, la crescita dell’e-commerce è conseguenza di un grande aumento in questo periodo degli utenti che hanno usufruito del commercio elettronico, ben 2 milioni rispetto ai 700 mila di un anno fa, contribuendo a mettere in contatto, tra l’altro, consumatori e piccoli negozianti entrati appositamente sulle piattaforme di delivery.
Tuttavia, non è tutto oro quello che sembrerebbe luccicare. Stando alle recenti rilevazioni Istat, infatti, le vendite al dettaglio a marzo sono letteralmente andate a picco. L’Istituto di statistica stima flessioni rispetto a febbraio pari al 20,5% in valore ed al 21,3% in volume. A determinare l’eccezionale calo sono le vendite dei beni non alimentari, che diminuiscono del 36% in valore e del 36,5% in volume, mentre quelle dei beni alimentari sono stazionarie in valore e in lieve diminuzione in volume (-0,4%). Su base tendenziale, a marzo, si registra una diminuzione delle vendite del 18,4% in valore e del 19,5% in volume.
Tale rilevazione, se da un lato è più che normale considerate molte delle chiusure previste a causa del covid19, dall’altro è il primo segnale preoccupante anche della contrazione dei redditi e della maggiore prudenza dei consumatori italiani: infatti, con la crisi sanitaria in corso, l’aumento del commercio elettronico ha mostrato alcuni dei suoi limiti essendo ben lontano dal compensare l’enorme perdita delle vendite fisiche.
L’obbligo di stare a casa ha dato il via a una grande e improvvisa sperimentazione sul campo che ha consentito di registrare incrementi significativi sul canale online che, tuttavia, non è sostenuto da una generale omnicanalità decretando comunque gravissime perdite per ampi settori produttivi e merceologici che potrebbero diventare anche irreversibili col tempo. Rispetto ai recenti dati Eurostat, infatti, l’Italia si colloca al primo posto per la caduta mensile delle vendite totali in volume, più del doppio nel confronto con la media Ue, pari a -10,4%, e quasi il doppio dell’Eurozona, che segna una diminuzione dell’11,2%. Se poi consideriamo le vendite non alimentari, nell’Eurozona il calo è del 23,1%, contro il 36,5%, dell’Italia.
Per questa fase due, e ancora di più per la programmazione successiva della fase3, che tutti ci auguriamo possa giungere più presto possibile, saranno necessarie iniziative volte a trovare un compromesso per incrementare ancora il commercio elettronico, che in questi mesi ha dato comunque prova di poter reggere ad una considerevole impennata delle richieste, senza però dimenticare il tessuto distributivo locale fatto di negozi più o meno grandi che danno lavoro a centinaia di famiglie e che oggi rischiano di sparire.