Il Fintech italiano e’ in ritardo ma non è fermo e si sta attrezzando per ridurre il gap con l’estero come emerge dall’incremento del numero di aziende attive e dal giro d’affari del settore. Lo sottolinea la terza edizione del rapporto Fintech di Pwc che analizza 364 aziende attive in Italia di cui 278 FinTech (Pagamenti, Capital Market & Trading, Wealth & Asset Management) e 86 TechFin, player di interesse nell’area dei Tech Enabler e della Cybersecurity.
Per quanto riguarda, nel dettaglio, la crescita delle aziende, le FinTech censite sono 278, 49 in più rispetto alla scorsa edizione, di cui 18 le nuove aziende, nate nel corso dell’ultimo anno. Aumentano anche i segmenti di business per esempio con l’ingresso del segmento del Real Estate (sia piattaforme dedicate in area Lending che nell’Equity Crowdfunding), di soluzioni di investimento in criptovalute e di trading specializzato per gli Npl.
Il fatturato complessivo del comparto ha raggiunto nel 2018 373 milioni, con una crescita del 40% sull’anno precedente (in realta’ del 64% delle aziende censite, poiche’ sono escluse alcune realta’ prettamente italiane, ma con sede legale all’estero, le aziende no profit e quelle appena costituite). Tra gli indicatori meno positivi, al primo posto si trovano gli scarsi investimenti nel settore FinTech italiano “che hanno contribuito a un posizionamento debole del nostro Paese a livello internazionale”: nel 2019 – dice l’indagine – si sono ridotti a 154 milioni dai 197 del 2018 (senza contare 100 milioni relativi a Prima). Come avvenuto sul mercato internazionale, anche in Italia il 2019 ha visto una polarizzazione dei fondi su pochi deal di maggiore dimensione (75% dei fondi sui primi 5 deal). Tra gli altri elementi di debolezza rilevati dall’indagine PwC c’e’ quello della redditivita’: l’ebitda aggregato del settore e’ pari al 2%, stabile rispetto al 2018. In generale e’ legato alla giovane eta’ delle aziende nel settore (60% ha meno di 5 anni), e ai segmenti di attivita’.
Gli impatti negativi potrebbero riguardare gli investimenti del Venture Capital, che probabilmente porteranno ad una situazione di accentuazione del trend di minore attenzione verso le nuove start up (seed), con un numero di chiusure maggiore di player in fase di sviluppo. Negativo anche il volume delle transazioni che potrebbe portare ad una diminuzione dei profitti (e, ancora una volta, degli investimenti) nel comparto. Un impatto nefasto, in particolare, potrebbe essere la conseguenza della pandemia da coronavirus che, tuttavia, potrebbe favorire un’accelerazione nell’utilizzo di servizi digitali finanziari e di partnership, a fronte del cambiamento “forzato” delle relazioni che sta coinvolgendo anche banche, assicurazioni e clienti.