L’uscita del Regno Unito dalla UE comporterà delle conseguenze per entrambe le parti e la reale portata di quanto avvenuto è ancora tutta da scrivere in virtù degli atti formali bilaterali che verranno adottati nei prossimi mesi. Per il momento, Boris Johnson fa la voce grossa affermando che il popolo britannico è pronto a tirare dritto per la sua strada senza farsi condizionare eccessivamente dalla UE. Tuttavia, pur mantenendo rapporti di buon vicinato, se il leave rappresenta un’importante occasione per il Regno Unito, perché non dovrebbe essere altrettanto anche per l’Unione Europea? Anzi, oggi, noi europei ci troviamo proprio in una posizione privilegiata – ma anche senza più scuse – per rispolverare davvero quel principio delle cooperazioni rafforzate che è stato molto spesso messo da parte, allargandolo a tutta l’Unione, e ripartire con un deciso processo di integrazione europea che da troppo tempo langue.
Certo, non dobbiamo illuderci che la causa di ogni “male” passato sia imputabile ai britannici e che, quindi, ora sia tutto risolto. Permangono, infatti, le distanze e le “fratture” – come direbbe Stein Rokkan –, ad esempio, tra i paesi mediterranei e quelli del centro e nord Europa e non bisogna dimenticare che alcuni dei più fragorosi naufragi del processo di integrazione (progetto CED – Comunità Europea di Difesa – e progetto della Costituzione Europea su tutti) non furono dovuti principalmente allo UK. E’ innegabile che in questi anni, l’Unione Europea si sia indebolita, sia dal punto di vista economico sia dal punto di vista politico, ma il punto di debolezza maggiore è quello che fa riferimento all’Europa dei popoli, il cui amore verso le Istituzioni e l’idea stessa di Europa Unita affronta in questi mesi una fase critica.
Eppure, proprio per questi motivi, abbiamo un’occasione irripetibile di dare una sferzata che rafforzi davvero l’Unione e da cui tutti noi possiamo trarne beneficio.
I cittadini devono tornare al centro del processo di integrazione affinchè sia colmata la storica distanza ideale che separa – talvolta con disinteresse, talvolta con un estraneo livore – popoli e istituzioni UE. A questo proposito, il suggerimento ci giunge da un recente articolo dell’ex premier, studioso e profondo conoscitore delle dinamiche UE Enrico Letta, il quale dalle colonne di Repubblica del 4 febbraio, invoca un’accelerazione sulle materie fiscale, l’istruzione e il sociale, tre aspetti che coinvolgono profondamente ogni cittadino europeo.
È a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta (con la firma del pur importante Atto Unico) che l’Ue ha abbandonato ogni progetto di armonizzazione fiscale e ha ripiegato sul mero coordinamento delle politiche sia sociali che fiscali, in vista del perseguimento di alcuni selezionati obiettivi comuni. Tuttavia, con Maastricht, la realizzazione dell’Euro e le continue mareggiate all’interno sistema, la sostenibilità economica necessita oggi di un coordinamento comune a tutti i paesi che adottano la moneta unica. Uno degli aspetti attualmente più eclatanti di questo problema è il tentativo in ordine sparso di imporre la famosa web tax. Le iniziative separate vanno facilmente incontro al “ricatto” dei dazi statunitense un’azione coesa e coordinata imporrebbe necessariamente un confronto serio tra le parti.
Probabilmente l’ambito fiscale è quello più complesso da armonizzare rispetto agli altri, per le sue inevitabili ripercussioni e i cambiamenti che comporta, ma è anche quello di cui più necessitiamo per riuscire ad affrontare i cambiamenti e le pressioni che il mercato e l’economia internazionale eserciteranno con crescente forza sui singoli paesi. Ciò che dobbiamo capire è che tali pressioni avranno sempre forti ripercussioni su ciascuno di noi ed è per questo che ogni cittadino italiano, francese, tedesco, olandese, spagnolo eccetera deve sentirsi cittadino europeo, perché coinvolto ormai in un contesto che lo porta inevitabilmente con sé.
Il secondo aspetto sottolineato da Letta è quello relativo all’istruzione, uno dei veri e propri capisaldi dell’integrazione europea che più di ogni altro probabilmente ha contribuito a creare l’Unione e una vera e propria coscienza europea. Oggi i media ci dicono che il Regno Unito sarebbe sul punto di voler ridiscutere il sistema dell’Erasmus. Bene. Ma perché allora non rafforzarlo per quanto riguarda gli altri paesi UE e renderlo magari obbligatorio per ciascuno studente per un periodo minimo di un semestre?
Infine, il tema di un’Europa più sociale e maggiormente orientata ai cittadini. La critica che spesso è stata mossa alla UE è stata quella di essere una struttura prettamente burocratica che fa e impone regole – talvolta fortemente peculiari – che non tengono sostanzialmente conto delle persone. Premesso che la verità di queste affermazioni risiede nel mezzo, in quanto i principi fondanti l’UE sono i nostri stessi principi di libertà ma che, allo stesso tempo, le norme sono spesso eccessivamente minuziose, quasi denunciando un gusto per la ricerca del cavillo, una legislazione orientata al welfare, al lavoro e ai popoli europei che in questi anni hanno sofferto l’aggressione e le conseguenze della crisi economica sarebbe il migliore degli strumenti per avvicinare la gente al Palazzo.
Nel contesto economico mondiale dominato attualmente da due super potenze politiche, economiche e militari e affiancate da imprese tecnologiche i cui fatturati e la cui influenza è spesso superiore a quella di tanti singoli stati, l’integrazione europea è una necessità oltre che un’opportunità per una UE che non è più soltanto lo strumento di pace che fu la CECA (Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio) bensì lo strumento per la sostenibilità economica, politica, fiscale e sociale di 446 milioni di persone.