Il mio benvenuto a voi tutti, donne e uomini di impresa, accademici, esperti, convenuti oggi qui, a Roma, per questo nostro importante appuntamento che chiama al confronto una parte importante di industria e di società italiane.
Il tema dell’Intelligenza Artificiale è diventato il polo di attrazione di decisori, imprese e opinione pubblica, nonostante i suoi i suoi 70 anni di vita e l’alto numero di applicazioni sofisticate che usiamo da almeno 20 anni.
Quindi niente di nuovo, si potrebbe dire, tranne una cosa.
Ora è il momento delle scelte su un mercato che secondo Price Waterhouse and Cooper potrebbe contribuire all’economia globale fino a 16 trilioni di dollari, a partire dalla IA generativa che secondo McKinsey potrebbe creare da sola un valore tra 2,6 e 4 trilioni di dollari di PIL.
Il posizionamento dell’Italia in questo contesto dipende da molti fattori.
Il primo è quello della condizione nazionale di bassa penetrazione di soluzioni di IA da parte di imprese e PA. Dobbiamo invertire la tendenza perché tali soluzioni assicurano maggior produttività e maggior efficienza, il che vuol dire contenimento dei costi ed ottimizzazioni delle prestazioni, due elementi rilevanti per le imprese ma anche per le PA, specialmente in settori ad alta spesa come quello della sanità.
Come governo vogliamo lavorare su un rinnovato paradigma di collaborazione tra le nostre imprese e le nostre università, che anche oggi sono qui presenti.
Le nostre università (e mi riferisco innanzitutto a dipartimenti, cattedre e corsi dedicati alla IA) godono di un radicato accreditamento scientifico ovunque nel mondo, ma paradossalmente fanno fatica ad assicurare buoni sbocchi ai talenti sfornati dai loro corsi di laurea.
Parliamo di giovani che costano allo Stato e alle loro famiglie non meno di 170.000 euro di investimento in formazione e che spesso appena dopo la laurea vengono consegnati ad aziende e pubbliche amministrazioni estere per mancanza di sbocchi nazionali. A lungo andare questo determinerà una scarsa attenzione verso l’università da parte dei giovani, che saranno attratti da altre soluzioni lavorative e rischia di comportare una graduale desertificazione delle competenze avanzate dell’Italia. Un processo che unito al progressivo invecchiamento della popolazione, ci consegnerebbe con ruolo subalterno ad interessi diversi da quelli nazionali.
Naturalmente non pensiamo che si possa andare in solitaria.
Per eccellere nei mercati della IA servono risorse finanziarie ingenti, che come sistema Paese non abbiamo, al pari di molti altri Paesi europei. Intanto, abbiamo libera davanti a noi la strada per sviluppare soluzioni verticali che contribuiscano a far crescere l’ecosistema nazionale applicativo di cui abbiamo bisogno e che assicuri il terreno di coltura per la crescita delle nostre aziende.
Qui, vorrei dirlo con chiarezza, dobbiamo guardare anche ad azioni di cooperazione con tutti i grandi player che presidiano il mercato, ma con sistemi di vicendevole convenienza, perché da questa cooperazione può nascere una crescita di competenze italiane ed una penetrazione di nuove soluzioni nel tessuto produttivo (dall’industria all’agricoltura e all’artigianato) e nelle Pubbliche Amministrazioni centrali e locali.
Poi vi è un problema di capacità di calcolo, senza la quale non si può fare IA.
Dobbiamo dotarci di capacità di calcolo autonoma. La presenza del supercomputer Leonardo a Bologna rappresenta una grande risorsa, ma non può essere l’unica e va considerato che la capacità di calcolo non può essere polverizzata nelle mani di ciascun utilizzatore. Occorrerà aggregare e dotarsi di infrastrutture condivise. Sappiamo infine che queste infrastrutture pongono problemi di sostenibilità immensi in termini di consumo energetico e di risorse idriche.
Poi vi è il quadro delle regole.
Come è noto, l’Europa si è mossa per tempo con l’AI ACT, che nelle prossime settimane vedrà forse un’accelerazione del processo di approvazione in corso. L’Europa ha fatto un buon lavoro e l’Italia ha contribuito fattivamente a questo risultato.
L’AI ACT europeo ha sollevato molte reazioni e un vivo confronto tra sostenitori e critici.
Da una parte, coloro che sottolineano la necessità di quadri normativi che non lascino un settore cosi delicato alle sole leggi del mercato o a “normative a maglie larghe”, perché una regolamentazione lassista o inadeguata può portare a sistemi di Intelligenza Artificiale carichi di pregiudizi e di risultati discriminatori, con potenziali rischi per i diritti e la sicurezza individuali.
Dall’altra, coloro che ritengono che una regolamentazione spinta potrebbe soffocare il progresso tecnologico, frenare l’innovazione e quindi limitare la crescita economica, ostacolando i potenziali benefici che l’IA può portare alla società.
Francamente credo che su tutto prevalga l’affermazione di Paul Nemitz, il consigliere per la transizione digitale della Commissione europea, secondo il quale “L’AI ACT dell’Unione Europea è la prima legge che costruisce un ponte concreto tra il mondo della tecnologia e la democrazia”.
L’IA ACT dovrà poi trovare un suo seguito nazionale nelle scelte che i singoli Paesi adotteranno.
Il governo e il mio Dipartimento in particolare stanno approntando la strategia nazionale sul settore e sono pertanto ben lieto di accennare, in una circostanza appropriata come quella odierna, alcuni punti qualificanti del percorso normativo che prevediamo, il DDL a cui presto daremo seguito sulla base di precisi orientamenti.
Il primo è quello dell’attribuzione alla Presidenza del Consiglio dell’alta responsabilità politica in materia di IA che riguarda sicurezza nazionale e interessi strategici, con le conseguenti integrazioni della normativa golden power. Il regolamento UE non si occupa di sicurezza e difesa perché non di competenza comunitaria.
Il secondo riguarda l’attribuzione al Comitato Interministeriale per la Trasformazione Digitale del compito di definire la strategia nazionale. L’attribuzione della responsabilità politica in materia di IA al PCM si traduce nella definizione della strategia nazionale per l’IA che viene collegialmente valutata dal CITD.
Il terzo è l’individuazione dell’autorità competente per l’IA ai sensi del regolamento UE. Parliamo prevedibilmente di un’agenzia e non di un’autorità indipendente. Un organismo con un ruolo di supporto all’attuazione della strategia nazionale, ma anche con funzioni di vigilanza e sanzioni.
Poi vi è il problema della creazione di strumenti operativi per l’attuazione della strategia nazionale. Pensiamo alla costituzione di una Fondazione e di fondi finanziari per l’avvio di progetti di interesse nazionale, attraverso un sistema che consenta di promuovere ricerca e sviluppo, selezionare i progetti più innovativi e finanziare start-up e imprese ad alta tecnologia per traslare sul mercato i risultati delle ricerche.
Il DDL conterrà altre aree di particolare attenzione e non posso non indicare quelle più cruciali e relative da un lato alla particolare attenzione alla tutela dei dati personali e dall’altra alla capacità di intercettare talenti creativi sin dall’età scolare.
In conclusione, l’Intelligenza Artificiale è promettente e piena di possibilità di trasformazione. Dobbiamo guardare al futuro, a questo futuro, con ottimismo.
Dobbiamo far sì che lo sviluppo, l’uso e la gestione dell’IA avvantaggi la società, rispetti i diritti individuali e si allinei con i valori umani.
Abbracciando la collaborazione, la comunicazione aperta e l’impegno per i principi etici, possiamo sfruttare il potere dell’IA per creare un futuro migliore, più equo e più sostenibile per tutti.
Mi auguro che l’intero nostro confronto vada in questa direzione, non per porre freni, ma per contribuire ad imboccare la giusta direzione.