di Maurizio Pimpinella
Nel recente dibattito, condotto spesso più sull’onda delle emozioni che del raziocinio, sull’importanza dell’intelligenza artificiale non è praticamente mai emerso in modo chiaro se questa sia uno strumento che avvicina l’umanità all’autodistruzione o se, stravolgendo i paradigmi socioeconomici oggi comuni, rappresenti la migliore via per il progresso.
Come ho già avuto modo di esprimere in vari contesti, anche per quanto riguarda l’intelligenza artificiale l’approccio dovrebbe essere fiducioso ma non fideistico, ragion per cui ritengo opportuno considerare questa rivoluzione come un fenomeno che necessita di essere governato e regolato ma non ostacolato, anche perché i benefici potrebbero effettivamente essere di gran lunga maggiori rispetto agli eventuali pericoli.
Proprio nei giorni scorsi, ad esempio, il Parlamento Europeo ha approvato la sua “posizione negoziale sulla legge sull’Intelligenza Artificiale” rivelandosi come il primo caso al mondo in tal senso. Si tratta di un buon passo in avanti verso una definizione più chiara del perimetro d’azione di questa tecnologia e che, come tale, va accolto con ottimismo.
L’imperativo che emerge con il procedere del ruolo dell’intelligenza artificiale è uno soltanto: migliorare le competenze. Solo così potremo fugare i dubbi e trasformare le criticità in potenzialità. L’unico problema reale, infatti, attualmente evidente è rappresentato dal timore di non essere in grado di gestire il cambiamento e di non saperlo governare fin dalla base della nostra società, motivo per cui il processo di acquisizione delle competenze deve necessariamente seguire un percorso bottom up. In questo contesto, infatti, la sostenibilità sociale ricopre un ruolo fondamentale e oggi, con un modello di welfare pubblico destinato necessariamente ad essere riconsiderato (e potenzialmente ridotto), è ancora più importante per assicurare anche la sua stessa stabilità.
Parliamo chiaro, il digitale e quindi l’intelligenza artificiale, crea opportunità ma comporta anche delle sfide e delle criticità. Mettendo insieme tutte queste tecnologie, infatti, è evidente che, parlando di posti di lavoro tradizionali, ci sarà una contrazione ma è altrettanto evidente che nel medio periodo i posti di lavoro acquisiti supereranno quelli persi. Ed è questo periodo di interregno che dobbiamo riuscire a governare. Certo, sembra più facile a dirsi che a farsi ma è esattamente la sfida che dobbiamo entusiasticamente accettare di sostenere, anche perché i miglioramenti in economia come nelle scienze dovuti alle stimolazioni dell’IA potrebbero essere almeno doppi. Da una parte quelli verso i settori che l’IA sollecita direttamente dall’altra verso quelli che pur non toccati subiscono continui e più rapidi aggiornamenti. In ambito medico, ad esempio, l’intelligenza artificiale potrebbe aiutare l’individuazione di nuove cure più efficaci di quelle attuali, come la recente scoperta di un super antibiotico, o quella di un nuovo super conduttore in ambito energetico. Si tratta di evidenze tangibili del suo supporto che, tuttavia, non bypassano totalmente gli interventi umani. Accanto poi ai settori in cui l’IA avrà un forte impatto ci sono quelli in cui non dovrebbe entrare, come i mestieri ad alto contatto col pubblico, nell’ambito dell’etica, dell’arte vera eccetera che, però, come detto, subiranno comunque una tale pressione esterna tale (come una sorta di competizione) tale da beneficiarne. La settorializzazione dell’intelligenza artificiale implica che anche le competenze ad essa riferite diventino sempre più particolari. Se, da un lato, il digitale richiede un certo ampliamento delle competenze, dall’altro l’IA ci obbliga a non essere “tuttologi” ma ad indicizzare il nostro “saper fare”.
Avere paura del futuro non ci esimerà dall’affrontarlo, tanto vale farlo con la consapevolezza delle sfide che ci attendono e la necessaria preparazione per farlo, ciò che, al tempo stesso, rappresenta anche l’unica chiave efficace per trarre vantaggio da un cambiamento che, volenti o no, ci coinvolgerà comunque.