di Riccardo Porta
Lo abbiamo conosciuto tutti e poi gli abbiamo voltato le spalle. E dire che non ci ha mai fatto nulla di male. Parlo di un “amico digitale” che per diversi mesi ci è stato davvero molto familiare: Zoom.
Il titolo dell’azienda californiana ha toccato i massimi a ottobre 2020 quando l’azione era arrivata a toccare quasi i 600 dollari. Oggi Zoom vale 80 dollari.
Da 600 a 80 non è un incidente di percorso.
La capitalizzazione di picco ha sfiorato 160 miliardi di dollari; da allora sono stati bruciati circa 130 miliardi.
Anche per loro la pandemia li sparati in cielo senza paracadute; purtroppo Zoom non è riuscito ad andare oltre al mercato consumer, non ha fatto breccia tra il cuore delle aziende e non è stato quindi in grado di dare stabilità al business.
Il che mi ricorda un po’ quando tutti ci ritroviamo con un unico e grande cliente per le mani che tiene in vita l’azienda. Lì era la pandemia e non c’era un piano B ben costruito.
Non credo aiuti il management sapere che sono in buona compagnia; come recentemente messo in evidenza dai dati del Sole24ore, ci sono tante altre aziende che hanno seguito la stessa traiettoria. A molto i loro nomi non diranno nulla perché sono rimasti fenomeni oltre oceano: Peloton (attrezzature per il fitness domestico), Zillow (digitalizzazione del mercato immobiliare), Twilio (interfacce per sviluppare servizi di comunicazione), Roku (video in streming). Tutti titoli chiamati dagli analisti “Stay at home”, proprio per etichettare quei business che prosperavano grazie alla pandemia.