Quando nel 2012 la Raspberry Pi Foundation lanciò sul mercato la prima scheda di sviluppo, la Raspberry Pi B, l’obiettivo principale era offrire agli studenti hardware a basso costo per i propri progetti. L’idea ebbe talmente successo che ad oggi sono state vendute oltre 40 milioni di schede Raspberry Pi.
La crescente popolarità delle schede di sviluppo, la comunità attiva e la grande quantità di applicazioni open source hanno portato gli ingegneri a prendere in considerazione l’utilizzo dei single-board computer anche per applicazioni industriali. Parallelamente, la transizione verso la Smart Factory (o Industria 4.0) ha accelerato l’integrazione della tecnologia digitale nei processi produttivi ed è apparso da subito chiaro che i tradizionali PLC (Programmable Logic Controller) non potessero più soddisfare le esigenze di flessibilità ed efficienza delle organizzazioni. Peraltro, la carenza di personale qualificato nel campo della programmazione PLC contribuisce a rendere difficile trovare soluzioni adeguate.
“Un fattore chiave del successo delle schede di sviluppo nella smart factory è la familiarità che molti ingegneri hanno con questa tecnologia”, spiega Sven Pannewitz, Product Manager – Passive Components, Development Boards & Vehicle Accessories, reichelt elektronik. “Molti hanno avuto modo di lavorare con queste schede durante il percorso di studi e quindi conoscono risorse e community in grado di fornire supporto in caso di problemi. Questa competenza confluisce nei progetti di digitalizzazione industriale, specialmente quando il budget e il know-how aziendale sono limitati. Le schede di sviluppo rappresentano quindi un’alternativa conveniente e flessibile, anche grazie alla disponibilità di numerose soluzioni open source”.
Uso delle schede di sviluppo nell’industria
Un sondaggio condotto da reichelt elektronik nel 2022 trai decision maker di 250 aziende industriali italiane ha rivelato che il 74% utilizzava già schede di sviluppo all’interno della propria realtà. Queste venivano impiegate soprattutto nella prototipazione, nell’edge data processing e in svariate applicazioni industriali.
Questa tendenza è in crescita e nuovi prodotti continuano ad arricchire il mercato. Il Raspberry Pi rimane il pioniere, seguito da marchi come Odroid e Beaglebone Black.
Le schede più piccole e meno potenti, invece, sono raramente utilizzate nel settore industriale poiché spesso non dispongono di sufficiente memoria o connettività di rete. Non sono in grado di soddisfare i severi requisiti di stabilità e affidabilità operativa. Ad esempio, un’interruzione della produzione nell’industria automobilistica può causare costi fino a 200.000 € l’ora, rendendo indispensabile l’uso di hardware potente. Schede come l’Arduino Uno sono adatte solo a progetti semplici e molto specifici.
Le tre schede più comuni – Raspberry Pi, Odroid e Beaglebone Black – hanno origini e strutture di distribuzione diverse. Mentre il Raspberry Pi è stato sviluppato dalla fondazione benefica britannica Raspberry Pi Foundation e distribuito da Raspberry Pi Holding, Odroid proviene dall’azienda sudcoreana Hardkernel. Il Beaglebone Black, invece, è un prodotto hardware open-source con cianografie liberamente accessibili, progettato dagli ingegneri di Texas Instruments, anche se non ufficialmente classificato come prodotto dell’azienda. Anche se oggi le tre schede hanno specifiche tecniche simili, la loro storia e struttura di distribuzione sono molto differenti. È quindi importante considerare questi aspetti nella scelta della scheda, ad esempio verificando in anticipo se l’utilizzo di hardware open source è compatibile con il progetto previsto.
Requisiti per le schede di sviluppo nell’industria
I contesti e ambienti di produzione industriali impongono oggi elevati requisiti all’hardware. Fattori disturbanti come polvere, umidità, alte temperature, vibrazioni e forti interferenze elettromagnetiche (EMC) possono, ad esempio, compromettere in modo significato l’efficacia di schede che originariamente sono state progettate per un uso in laboratorio. Ecco che esse devono quindi essere adattate all’uso industriale, mediante:
- Robusti contenitori in metallo per montaggio su guida DIN con messa a terra per protezione EMC
- Connettori avvitabili in design industriale
- Ventole sovradimensionate di qualità industriale
- Alimentazione protetta EMC con batteria tampone per eventuali blackout
- Nessun bisogno di schede di espansione collegate direttamente al connettore GPIO
- Connessione di rete cablata; se è richiesto il WLAN, solo con antenna esterna
Per il Raspberry Pi sono disponibili la maggior parte delle estensioni industriali, tra cui numerosi HAT e shield sviluppati specificamente per ambienti di fabbrica. Per Odroid e Beaglebone Black la scelta è più limitata, ma esistono comunque opzioni come la versione industriale della Beaglebone Black.
Confronto tra le classi di schede
Le schede di sviluppo si suddividono in due classi: quelle esplicitamente approvate dal produttore per uso industriale e quelle prive di omologazione ufficiale. La scelta dipende quindi da un’accurata valutazione dei requisiti e dei test. La mancanza di omologazione non rappresenta necessariamente un criterio di esclusione, poiché spesso le schede possono essere adattate agli standard industriali.
Modelli più vecchi come il Raspberry Pi 2B o Zero presentano limiti architetturali, come l’accesso combinato su un unico bus dati per audio, video, memoria e rete. Questo rallenta il throughput e li rende inadatti all’uso industriale. Il Raspberry Pi 5 ha risolto il problema integrando un bus PCI separato, in grado di gestire anche SSD e dischi rigidi. La Beaglebone Black separa i bus dati dalla versione C e offre un’architettura comparabile al Raspberry Pi 4 per prestazioni e connettività.
L’Odroid M2, originariamente pensato per il gaming, privilegia le funzioni di intrattenimento. Tuttavia, può risultare adatto per progetti specializzati come interfacce uomo-macchina (HMI) o sistemi multimediali basati su AI.
Tecnologia di rete e concept di sicurezza
“Nei progetti con requisiti di rete, è fondamentale prestare attenzione all’equipaggiamento delle schede”, consiglia Sven Pannewitz. “Alcuni modelli non hanno interfacce di rete, altri offrono opzioni complete di connettività, incluso il Bluetooth”.
Attualmente, solo il Raspberry Pi 5 offre una vera velocità Gigabit per il trasferimento dati. Altre schede con Ethernet Gigabit sono spesso adatte solo a compiti di connettività limitati: anche se collegate come switch gigabit, l’architettura interna non consente il throughput desiderato.
Per un uso in reti industriali, è consigliabile creare una rete separata, isolata dalla rete principale tramite una zona demilitarizzata (DMZ), composta da due firewall che regolano il traffico dati e garantiscono la separazione sicura. Le regole dei firewall determinano quali connessioni sono consentite, proteggendo l’ambiente produttivo da accessi non autorizzati.
Un esempio pratico
In uno stabilimento automobilistico, la stazione centrale di produzione cosiddetta “marriage facility (stazione all’interno dello stabilimento in cui avviene questa unione meccanica fondamentale) – unisce il telaio, le ruote e la carrozzeria del veicolo. L’assemblaggio avviene tramite avvitatori automatici dotati di sensori e moduli wifi che trasmettono in modalità wireless i dati dell’avvitatura e il numero di telaio a un gateway. Quest’ultimo converte i dati in formato standard e li memorizza in un database SQL su un cluster HP Tandem. I dati devono essere archiviati per dieci anni, con accesso riservato solo al produttore e alle autorità in caso di problemi successivi occorsi al veicolo.
Il gateway è un componente essenziale, perché uniforma i formati dati dei 40 avvitatori provenienti da produttori diversi. Poiché nessun produttore fornisce utensili per tutte le applicazioni e ciascuno usa un proprio formato, il gateway è indispensabile per elaborare i dati in modo coerente. Il problema? I costi annui di manutenzione e licenze ammontano a circa 250.000 €, e la tendenza va verso l’aumento.
Il team di progetto ha quindi cercato un’alternativa più economica e ha optato per quattro Raspberry Pi industriali: due in uso attivo e due in standby. L’hardware è installato in armadi industriali climatizzati e alimentato da otto unità hot-plug (due per ogni Raspberry).
La programmazione e installazione sono state eseguite dal reparto IT locale, che gestisce anche la manutenzione. In questo modo l’azienda ha risparmiato sia durante l’implementazione che nella gestione continuativa. Il sistema ha funzionato senza problemi per tre anni e mezzo su tre turni.
Dall’analisi risulta che i costi operativi elevati del precedente sistema sono stati sensibilmente ridotti adottando Raspberry Pi. È inoltre evidente che gli investimenti in hardware e risorse umane sono stati ammortizzati nel giro di poche settimane.
L’esempio riportato dimostra infatti il notevole potenziale di risparmio derivante dall’uso delle schede di sviluppo nella Smart Factory, nonostante iniziali scetticismi.
É prevedibile che sempre più responsabili IT sceglieranno queste soluzioni anche per applicazioni complesse e critiche, e ciò presume che i produttori debbano saper fornire strutture di supporto adeguate alle esigenze industriali. Forum e community offrono ispirazione, ma non garantiscono l’assistenza necessaria in caso di emergenza.
Le aziende manifatturiere sono disposte a investire in supporti affidabili e ciò rappresenta un’opportunità per i produttori di espandere il proprio business.
Inoltre, l’hardware dovrà rispettare gli standard industriali per montaggio e installazione.
In conclusione, per i produttori di schede di sviluppo si aprono nuovi mercati industriali e i clienti, gli utilizzatori industriali, beneficiano oggi di modelli avanzati e servizi migliori: una collaborazione fruttuosa, ricca di potenziale per entrambe le parti.