L’Italia ha avanzato una richiesta di pagamento nei confronti di tre grandi piattaforme digitali, Meta, X (ex Twitter) e LinkedIn, per un totale di oltre un miliardo di euro di IVA non versata nel periodo compreso tra il 2015 e il 2022. Nello specifico, il fisco italiano ha richiesto 887,6 milioni di euro a Meta, 12,5 milioni a X e circa 140 milioni a LinkedIn, contestando il mancato versamento dell’imposta sul valore aggiunto relativa alle loro attività nel Paese.
Questa richiesta arriva al termine di un’indagine complessa e prolungata, durata diversi anni, che potrebbe rappresentare un precedente significativo non solo per l’Italia, ma per l’intera Unione europea. Il nodo centrale della questione riguarda la natura delle registrazioni degli utenti sulle piattaforme social: secondo le autorità fiscali italiane, il semplice atto di iscrizione a un social network può essere considerato alla stregua di uno scambio di servizi, rendendolo dunque soggetto all’applicazione dell’IVA.
Dal canto suo, Meta ha affermato di aver collaborato con le autorità italiane durante l’indagine, ma ha contestato l’interpretazione dell’Italia sulla rilevanza fiscale delle registrazioni degli utenti, sostenendo che l’IVA non dovrebbe essere applicabile in questo caso. La società ha quindi espresso il proprio disaccordo con la richiesta di pagamento avanzata dal fisco italiano. Diversamente, la piattaforma X (precedentemente Twitter) non ha rilasciato dichiarazioni ufficiali in merito, mentre LinkedIn non ha fornito commenti immediati sulla questione.
La vicenda potrebbe avere ripercussioni di ampia portata, in particolare a livello europeo. L’IVA è infatti un’imposta che si applica ai beni e servizi consumati nell’Unione Europea, ma la sua interpretazione e applicazione possono variare da Paese a Paese, a seconda delle normative locali. Secondo diversi esperti, questa iniziativa dell’Italia potrebbe aprire la strada a richieste simili da parte di altri Stati membri, ponendo un serio interrogativo sul trattamento fiscale delle piattaforme digitali.
Un ulteriore elemento di preoccupazione riguarda il potenziale impatto su altre aziende tecnologiche che operano con modelli di business basati sulla raccolta di dati. Alcuni analisti suggeriscono infatti che questo caso potrebbe estendersi anche ad altre società che, per consentire l’accesso ai loro servizi online, richiedono l’accettazione dei cookie o altre forme di interazione con gli utenti. Se l’approccio italiano dovesse essere confermato, molte altre piattaforme potrebbero essere chiamate a versare somme significative a titolo di IVA sui loro servizi digitali.
Il dibattito su questa vicenda è dunque solo all’inizio e potrebbe avere implicazioni profonde non solo per il mondo dei social network, ma per l’intero settore della digital economy in Europa.