L’intelligenza artificiale è una tematica che, per via della sua naturale trasversalità, sta coinvolgendo sempre più settori. Ciò che colpisce dell’ultimo periodo è il suo irrefrenabile avvento negli ambiti creativi: dal mondo della musica al cinema, ora anche il settore del gaming deve fare i conti con l’enorme potenziale che questa nuova tecnologia porta con sé. Il modo in cui l’intelligenza artificiale sta influenzando il gaming è un argomento vasto, sensibile e stimolante, poiché spinge a riprogettare i processi organizzativi e lavorativi. Inoltre, trattandosi di uno strumento in costante cambiamento, in grado di evolversi e crescere giorno dopo giorno, non è ancora possibile trarre delle conclusioni risolutive: d’altra parte, se è vero che l’IA offre un bacino di possibilità tendenzialmente infinito, alimentandosi dei comportamenti degli utenti, è vero anche che esistono una serie di risvolti negativi che questa tecnologia può produrre, interferendo in maniera pericolosa con l’operato umano. Ma in che modo possiamo prevedere queste conseguenze? Possiamo imparare a nutrire ed educare l’IA affinché diventi uno strumento in grado di portare ad un cambiamento profondo, positivo e definitivo anche in campo sociale, oltre che commerciale, proprio attraverso i videogames?
A riflettere su queste tematiche è Claudia Molinari, visual designer e digital 2D artist, creative director e producer delle opere di We Are Muesli, studio di videogiochi indipendente che ha sviluppato pluripremiati giochi narrativi presentati in diversi festival internazionali. Molinari riconosce l’incredibilità del fenomeno AI e condivide le sue considerazioni a riguardo, frutto di un periodo di ascolto ed esplorazione in cui “il mio giudizio è totalmente sospeso e la mia mentalità è aperta e possibilista”. Molinari è anche docente al SAE Institute di Milano per i corsi di Art Theory e Visual Design, oltre che relatrice su temi legati all’arte e alla narrativa nel game design. È inoltre parte del gruppo di lavoro Video Game Culture per il progetto Digital Citizenship Education del Consiglio d’Europa e Women in Games Ambassador. Tra le sue realizzazioni personali Molinari ha prodotto The Great Palermo, un gioco interattivo dedicato al folklore e alla cultura del capoluogo siciliano, e WER IST WER, un’escape room cross-mediale ispirata al trentennale della caduta del Muro di Berlino, che abbraccia i temi della conformità, della non-conformità e della paranoia. Entrambe le produzioni hanno ricevuto due Selezioni Compasso D’Oro ADI.
“Senza dubbio l’IA interviene positivamente nel settore del gaming sotto molteplici punti di vista, a partire dal gameplay, che diventa più realistico ed immersivo: l’intelligenza artificiale consente lo sviluppo di esperienze che rispondono al linguaggio naturale, in grado quindi di interpretare le emozioni degli utenti per adattarsi al loro gioco. Permette inoltre agli NPC (personaggi non giocanti) di reagire in una maniera più naturale e più credibile alle azioni di giocatori e giocatrici, garantendo di conseguenza una maggior immersività e veridicità all’interno di quella che è la rispondenza narrativa rispetto a chi gioca. L’IA detiene inoltre un ruolo fondamentale a livello di personalizzazione e adattabilità, dal momento che fa sì che un gioco si adatti perfettamente alle esigenze e alle abilità di chi gioca, offrendo esperienze personalizzate senza precedenti, ma anche a livello ecologico: di fatto, l’IA viene spesso usata per migliorare la grafica dei giochi e la risoluzione delle texture che, a causa del loro peso, rischiano di appesantire il gioco stesso, surriscaldando ed usurando il computer. L’IA viene in soccorso agli sviluppatori e alle sviluppatrici, permettendo loro di aggiustare il framerate del gioco, dando vita ad una serie di pratiche sostenibili che è sempre bene implementare”, afferma Claudia Molinari, che prosegue “ci sono poi una serie di pratiche che l’IA può mettere in campo per il team di sviluppo, legate all’anti-cheat e alla moderazione. L’IA può essere impiegata per rilevare comportamenti di cheating nei giochi online o per moderare le interazioni tra le persone giocanti, contribuendo a mantenere un ambiente di gioco sicuro”.
Sebbene l’intelligenza artificiale possa avere, indubbiamente, un impatto positivo sul settore del gaming, Molinari non può non osservare, nei suoi approfondimenti, i lati più dirompenti di questa tecnologia che, come sottolinea la stessa designer, “Non è la prima GPT che l’umanità ha conosciuto. Tuttavia, se le tecnologie e i progressi che l’hanno preceduta avevano un periodo di acquisizione molto più lungo, dando tempo agli utenti di raddrizzare il tiro per capirne la profondità, per legiferare e per capire come sfruttarli al meglio, nel caso dell’IA le tempistiche si sono ridotte a causa della sua rapidissima evoluzione, e la GPT che usiamo oggi potrebbe essere completamente diversa rispetto a quella della settimana prossima”.
Di fronte a queste considerazioni, Molinari avanza una riflessione etica necessaria: se tutti i progressi tecnologici compiuti in passato avevano lo scopo di sollevare l’uomo dal lavoro fisico, “l’intelligenza artificiale solleva l’umanità dal lavoro mentale e di pensiero. Questa rivelazione deve spingerci a prendere una serie di provvedimenti – come ripensare e ri-normare il settore educational in accordo con l’avvento dell’IA – e a porci degli interrogativi. Rispetto ai giochi, cosa succederà quando la persona giocante sarà in grado di prodursi in maniera automatica i suoi giochi? Quali saranno i giochi di domani e chi ci giocherà?”, si domanda Molinari. Analizzando ulteriormente l’impatto che l’IA può avere sul mondo gaming da un punto di vista etico, emergono scenari distopici che aprono ad interrogativi filosofici: “Esistono tecnologie ed editor molto performanti, come ad esempio MetaHuman, capace di unire due volti per crearne un terzo ad altissima risoluzione. E se l’IA potesse ricostruire una persona cara all’utente, permettendogli di interagire con lei per sempre? Assisteremmo al cambiamento radicale di un modello narrativo dove non esisterebbe più una fine”, spiega Claudia Molinari.
Riguardo al rischio che l’IA, proprio perché super intelligente, sviluppi giochi difficili da giocare frustrando così la persona giocante, secondo Molinari è fondamentale e imprescindibile l’intervento dell’uomo. “Tendiamo a parlare dell’IA come se fosse un membro del team di sviluppo, ma in realtà è uno strumento in mano ad una persona, che funge da pilota. L’IA è un tool abilissimo, che impara velocemente, ma non è un mostro e, soprattutto, l’input viene sempre dato da un umano. L’IA non conosce tutto quello che è al di fuori di Internet e non è in grado di replicare tutto quello che sono le relazioni all’interno del piano di realtà fatto di scambi fisici: c’è sempre un essere umano dietro che nutre e governa l’IA, e non potrà mai essere altrimenti”, afferma Claudia Molinari.
Da un punto di vista educativo, invece, l’IA rappresenta uno strumento con un potenziale unico e mai visto prima. Se applicato al gaming, Molinari sostiene che “È importante che i videogiochi si basino su impatti sociali più che su impatti commerciali: il videogioco è uno strumento di esagerato potere e non possiamo permetterci di sviluppare a cuor leggero personaggi che non sono rappresentativi di una reale pluralità o di sponsorizzare un’egemonia che prevede determinati modelli. In quanto strumento, il videogioco non dovrebbe essere buonista: è necessario piuttosto creare giochi accessibili, inclusivi e rappresentativi di una pluralità. Si tratta di un obiettivo ambizioso che, secondo me, un’IA non è in grado di raggiungere. Sicuramente può fornire al team di sviluppo un canovaccio da cui partire, un setting ideale, però poi è necessario un lavoro umano per riuscire a rendere i giochi più vicini alle Persone con la P maiuscola, poiché intese nella loro pluralità”.
Per raggiungere questo obiettivo e dare vita ad un videogioco inclusivo e accessibile, la docente insiste sulle qualità e sulle competenze che devono caratterizzare un game designer: “Ai miei alunni e alunne di SAE Institute, dove insegna anche Matteo Pozzi, co-fondatore di We Are Muesli, cerchiamo di far capire che al di là delle skill tecniche, un game designer è tale quando assorbe competenze dalla filosofia, antropologia, psicologia e soprattutto dal femminismo, che è essenziale per rendere i giochi più integrati. E non parliamo di un femminismo a caso, ma di quello intersezionale”, conclude Molinari.
Approfondire argomenti che consentano di ampliare il proprio orizzonte è un aspetto fondamentale per chiunque sogni di diventare game designer e, in questo senso, l’IA può aiutare in maniera decisiva, favorendo un dialogo diretto con un’interfaccia che risponde come un essere umano e che accompagna l’utente alla conoscenza.
Riguardo a quale possa essere, in conclusione, il futuro del gaming e l’apporto dell’IA alla sua evoluzione, Molinari auspica uno scenario in cui tale strumento costituisca un aiuto ed una base per lo sviluppo e la diffusione del videogioco applicato. “Mi piacerebbe, un domani, vedere più giochi che utilizzano l’IA per interrogare l’etica, per poter mettere le persone giocanti in situazioni che possono davvero far crescere la loro curva di apprendimento rispetto a tematiche sociali”, risponde Claudia Molinari. “Non smetterò mai di dire che per me l’avanguardia del videogioco è il videogioco applicato, che adesso, rispetto al gioco convenzionale, ha pochissimi fondi e una ridotta fetta di mercato, ma ha una matrice sociale molto interessante: viene usato per raccontare tematiche che solitamente non vengono affrontate con un videogioco normale. Un videogame applicato può, ad esempio, parlare di che cos’è l’ansia, mostrando alla persona giocante cosa prova una persona che vive questa condizione. Un videogioco applicato non si muove seguendo logiche commerciali, ma parte dal presupposto che il suo contenuto debba avere un impatto sociale e culturale sugli utenti”, afferma in conclusione Molinari.
L’intelligenza artificiale è una tecnologia in estremo divenire, che sta mutando profondamente il periodo storico in cui viviamo. Molinari riconosce che gli studenti a cui insegna al SAE Institute di Milano stanno vivendo in prima persona un momento di profonde opportunità, per nulla paragonabile alla transizione data dalla nascita di Internet o degli smartphone: “In quel caso, non parlerei di transizione trasformativa”, afferma, aggiungendo in conclusione – “ l’IA cambierà i nostri approcci e i modi di gestire la socialità. Ma tutto quello che ne verrà fuori, per scopi di miglioramento culturale e sociale, sarà solo che positivo”.