Ho letto con molto interesse le riflessioni di Pietrangelo Buttafuoco sul tema dell’intelligenza artificiale e sulla sua inarrestabile potenza, capace di potersi affrancare, secondo Buttafuoco, anche dal controllo degli esseri umani con decisioni proprie e senza rispondere ad alcuna regola.
Buttafuoco sostiene che le regole europee sulla IA saranno inutili. Troppo lente e tardive rispetto alla evoluzione di una tecnologia che serve un’umanità che non sarà neppure più «…in grado di discernere il se, il come e il quando scegliere tra on e off».
La tesi di Buttafuoco guarda ad una tecnologia capace di ribellarsi alle regole fisiche e, ancor più, morali della nostra specie.
Questo solleva due considerazioni. La prima riguarda il ruolo della tecnologia. La storia della civiltà è stata accompagnata da una costante evoluzione tecnologica che ne ha agevolato la crescita. Ora, se il mondo vuole evolvere, può agire su tre leve: la spinta demografica, lo sfruttamento delle risorse naturali e lo sviluppo della tecnologia. Mentre le prime due hanno controindicazioni, in qualche caso anche pesanti, la tecnologia è l’unica leva che ci consente di fare di più con meno, ovvero con minori costi intesi nell’accezione più ampia del termine.
È qui che si colloca la nuova frontiera dell’IA, che non può essere occasione né di esaltazione acritica della perfezione digitale, né può estaclismi culturali, morali ed etici che scaraventeranno la nostra specie in un nuovo oscurantismo.
VECCHIE E NUOVE DISPUTE Queste dispute del XXI secolo sono ovviamente simili ad analoghe avvenute nel passato. Quando fu inventata l’elettricità, alla Royal Society di Londra gli scienziati dell’epoca si spaccarono sulle ragioni etiche della nuova invenzione e ci fu chi sostenne che poter lavorare nelle ore notturne avrebbe alterato i ritmi della veglia e del sonno imposte dalle leggi naturali stabilite da Dio. Come sappiamo l’elettricità fu ben altro e ad essa l’intera umanità è debitrice per la spinta di civiltà e di crescita economica che ha conferito à nostro incedere nel corso della storia.
Certamente l’IA è capace di dispiegare una potenza di fuoco del tutto inimmaginabile sino a poco tempo fa. Questo riguarda la sua capacità di affrontare problemi, trovare soluzioni, valutare le variabili. «L’IA può dare risposte perfette ha ricordato Federico Faggin qualche settimana fa a ComoLake2023 ma non decide e l’unica certezza è che non capisce ciò che dice». Concetto di enorme fascino.
PREOCCUPAZIONI Ciò che può destare grande preoccupazione (una preoccupazione che ha caratterizzato ciascun traguardo tecnologico nel corso dei secoli) è semmai la mano umana che può gestire tali straordinarie capacità. Ecco perché servono regole. E qui siamo alla seconda considerazione.
Difficile accettare in modo così ideologico l’idea che l’IA sia tanto travolgente da non poter esser governata con le regole decise da Parlamenti e Governi o organismi internazionali. L’IA non ha natura divina e i servizi cui essa dà forma altro non sono che prodotti nelle mani di soggetti che, nonostante tutti i limiti da un lato dei mercati globali e dall’altro dei tempi della regolamentazione, ancora rispondono alle nostre leggi.
Certo il sistema di produzione di leggi è più lento della velocità della tecnologia, ma è risaputo. Ed è per questo che si approvano leggi-quadro, forti nei principi, ma che consentono di modificare velocemente i piani applicativi. Dire che le regole non servono e sono inutili è un’istigazione à “liberi tutti”. Sarebbe la fine dello Stato di diritto.
La contrapposizione strumentale tra regolamentazione e innovazione è equivoca. È semmai vero che le regole sono uno strumento di democrazia: servono a difendere l’interesse collettivo e ad assicurare una corretta competizione di mercato per imprese e consumatori. Va semmai precisato che le buone regole sono nemiche della cattiva innovazione (quella che non aumenta il benessere collettivo), così come le cattive regole sono nemiche della buona innovazione, perché la imbrigliano senza fare per davvero l’interesse collettivo.