Parte I
A cura Avv. Umberto Piattelli
- Il mercato delle criptovalute
La questione delle monete virtuali è sempre più rilevante se si considera che il relativo mercato ha raggiunto i 330 miliardi di dollari a livello mondiale, considerando la capitalizzazione delle prime 100 monete virtuali[1] e che le stesse sono spesso associate all’anonimato di coloro che le detengono, con gli evidenti rischi connessi al riciclaggio, al terrorismo e all’evasione fiscale.
Insieme al grande sviluppo della Blockchain si sono diffuse le c.d. criptovalute: il termine si compone di due parole: cripto e valuta, per cui si tratta di una valuta “nascosta”, nel senso che è visibile/utilizzabile solo conoscendo un determinato codice informatico (le c.d. “chiavi di accesso” pubblica e privata).
Si faccia attenzione che secondo alcuni studi le criptovalute rientrerebbero nel più grande insieme dei cryptoassets, nel quale sono ricompresi anche i tokens, la cui funzione non è solamente e semplicemente quella di favorire il trasferimento di valore, così come avviene con una moneta virtuale.
Una criptovaluta non esiste in forma fisica (e per questo viene definita “virtuale“), ma si genera e si scambia esclusivamente per via telematica; non è pertanto possibile trovare in circolazione delle criptovalute in formato cartaceo o metallico; in pratica si tratta di un documento digitale che esprime un segno convenzionale che viene associato ad un individuo per il tramite di codici informatici.
La criptovaluta, ove sussista il consenso tra i partecipanti alla relativa transazione, può essere scambiata in modalità peer-to-peer (ovvero tra due dispositivi direttamente, senza necessità di intermediari) per acquistare beni e servizi (come fosse moneta a corso legale a tutti gli effetti) così come è avvenuto con l’avvento del Bitcoin, probabilmente la più famosa delle criptovalute, che viene definita come “una moneta virtuale bidirezionale in quanto può essere facilmente convertita con le principali valute ufficiali e viceversa”.
Il Bitcoin viene descritto come una moneta virtuale, decentralizzata ed anonima, senza corso legale (e non emessa da un governo o entità governativa) che non ha alcuna forma fisica e che può essere quindi rappresentata come un file salvato su un portafoglio digitale in un computer, tramite un servizio online.
Anche la Banca d’Italia, al fine di evitare possibili discordanze e/o incongruenze rispetto alla definizione di valuta avente corso legale, ha elaborato una prima definizione di cripto attività intesa come “attività di natura digitale il cui trasferimento è basato sull’uso della crittografia e sulla Distributed Ledger Technology” e ha poi precisato che la stessa: (i) non svolge le funzioni economiche della moneta; (ii) non integra la moneta da un punto di vista giuridico e legale; (iii) non conferisce diritti di carattere economico (es: cedole e/o dividendi); e (iv) non rappresenta passività di un ente emittente.
Va infine precisato come le monete virtuali non abbiano corso legale in Italia (ma anche negli altri Paesi, almeno per il momento) e dunque l’accettazione delle stesse come mezzo di pagamento abbia luogo esclusivamente su base volontaria.
Con lo sviluppo delle criptovalute si è cominciato quindi a parlare di tokenizzazione della ricchezza, la quale comporta una serie di vantaggi che possono essere così sintetizzati: in primis, una maggior liquidità, dal momento che il token (termine sul quale ci soffermeremo in seguito) consente di frammentare i titoli di proprietà su un bene e crearne un mercato secondario, molto più semplicemente di quanto non avvenga con le modalità tradizionali; inoltre, un aumento della velocità e diminuzione di costo delle transazioni, insieme a una maggior trasparenza nelle operazioni, garantita dalle tecnologie basate sulla DLT (distributed ledger technology)ed, infine, un aumento delle opportunità di investimento, posto che la riduzione dei costi transattivi consente di rendere economicamente praticabili anche investimenti molto limitati, con un conseguente aumento molto significativo della platea di potenziali investitori.
- Il registro delle criptovalute
Il quadro di riferimento normativo appena tracciato si sta però rapidamente modificando, come dimostra il fatto che il 17 febbraio 2022 è stato finalmente pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 13 gennaio 2022, con il quale è stata disciplinata la procedura per la registrazione da parte di quei soggetti che intendano svolgere servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale e servizi di portafoglio digitale, sul territorio nazionale.
La procedura consentirà ai soggetti interessati di ottenere la registrazione in una sezione speciale del registro pubblico detenuto dall’Organismo degli Agenti e Mediatori, che diventerà operativo a decorrere dal 18 maggio 2022.
Il decreto in questione è stato emanato in applicazione e per effetto di quanto previsto dall’articolo 17-bis, commi 8-bis e 8-ter, del Decreto Legislativo n. 141 del 13 agosto 2010, del Decreto Legislativo n. 90 del 25 maggio 2017 e dall’articolo 1, comma 1, lettere ff) e ff-bis) e dall’articolo 17-bis, comma 8-ter del Decreto Antiriciclaggio.
All’articolo 1, comma 1 il decreto definisce come ‘prestatore di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale‘, ogni persona fisica o soggetto diverso da persona fisica che fornisce a terzi, a titolo professionale, anche on-line, servizi funzionali all’utilizzo, allo scambio, alla conservazione di valuta virtuale e alla loro conversione da ovvero in valute aventi corso legale o in rappresentazioni digitali di valore, ivi comprese quelle convertibili in altre valute virtuali, nonché’ i servizi di emissione, offerta, trasferimento e compensazione e ogni altro servizio funzionale all’acquisizione, alla negoziazione o all’intermediazione nello scambio delle medesime valute e come ‘prestatore di servizi di portafoglio digitale‘, ogni persona fisica o soggetto diverso da persona fisica che fornisce, a terzi, a titolo professionale, anche on-line, servizi di salvaguardia di chiavi crittografiche private per conto dei propri clienti, al fine di detenere, memorizzare e trasferire valute virtuali.
In merito si deve notare come il concetto di professionalità della prestazione del servizio è elemento essenziale per l’applicazione del decreto in questione che diversamente, non sarà utilizzabile nei confronti di coloro che operino per propri scopi personali e senza rivolgersi ad una platea di potenziali clienti.
Sempre il comma 1, alla lettera f) definisce poi il concetto di ‘valuta virtuale’, ovvero la rappresentazione digitale di valore, non emessa ne’ garantita da una banca centrale o da un’autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi o per finalità di investimento e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente, definizione che, come si può osservare, un po’ curiosamente, non è la stessa adottata dal Decreto Antiriciclaggio.
Il decreto stabilisce poi il contenuto della domanda da predisporre per ottenere l’iscrizione nel registro, che deve essere effettuata telematicamente e che deve includere almeno le seguenti informazioni: (i) le generalità del richiedente (sia esso persona fisica o giuridica), (ii) un indirizzo di posta elettronica certificata per le comunicazioni tra il richiedente e l’OAM; (iii) l’indicazione della tipologia di attività svolta in qualità di prestatore di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale e/o di prestatore di servizi di portafoglio digitale; (iv) l’indicazione della tipologia di servizio prestato tra quelli elencati nell’allegato 2 del decreto e (v) le modalità di svolgimento del servizio, con l’indicazione del numero e dell’indirizzo dei punti fisici di operatività, ivi compresi gli eventuali sportelli automatici (ATM), e/o dell’operatività on-line con l’indicazione dell’indirizzo web tramite il quale il servizio è svolto.
In aggiunta alle informazioni sopra riportate, ma solamente per quanto riguarda i soggetti con sede legale in altro Stato membro dell’Unione Europea, deve essere comunicata all’OAM la sede della stabile organizzazione nel territorio della Repubblica Italiana; questo ulteriore requisito, appare certamente peculiare, se si considera il contenuto dell’articolo 56 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, ma discende dal disposto dall’articolo 17-bis del decreto legislativo 141/2010 ai sensi del quale agli operatori denominati “cambiavalute” è espressamente richiesto che, per operare nel territorio italiano, siano ivi dotati di una stabile organizzazione e del comma 8-bis di tale previsione, ove si stabilisce inoltre che dette disposizioni si applicano, altresì, ai prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale, come definiti nell’articolo 1, comma 2, lettere ff) e ff-bis), del decreto legislativo 231/2007, e successive modificazioni tenuti, in forza della presente disposizione, all’iscrizione in una sezione speciale del registro la cui attuazione è stata demandata all’OAM.
Se, in passato, il requisito della costituzione di una stabile organizzazione in Italia era stato ritenuto necessario per consentire una puntuale e costante verifica dell’attività svolta, da parte delle autorità preposte ad impedire fenomeni di riciclaggio o finanziamento al terrorismo, non si comprende oggi perché un’attività come quella in oggetto (prestazione di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale) che viene svolta interamente online (come peraltro prevede il decreto in questione), debba essere discriminata rispetto a quella compiuta da un istituto di pagamento o di moneta elettronica, considerato che entrambi non sono soggetti all’obbligo di aprire alcuna stabile organizzazione in Italia pur essendo, evidentemente, comunque tenuti al rispetto delle norme stabilite in materia di antiriciclaggio e lotta al terrorismo, le quali, se lette in combinato disposto con quanto previsto dalle norme di recepimento della PSD2, richiedono a tali operatori di adempiere alle obbligazioni di reportistica nei confronti dell’UIF solamente se operano tramite agenti o distributori o se decidono di aprire una stabile organizzazione nel nostro Paese (cosa che non sono affatto obbligati a fare).
Riteniamo pertanto che l’obbligo di aprire una stabile organizzazione in Italia per poter inoltrare la domanda di iscrizione nel registro tenuto dall’OAM e quindi per poter ivi svolgere servizi di valuta virtuale, possa ben essere censurato dal punto di vista della sua compatibilità con le richiamate norme dei Trattati Europei.
Il decreto stabilisce inoltre che i prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale e i prestatori di servizi di portafoglio digitale già operativi sul territorio della Repubblica e in possesso dei requisiti di cui all’art. 17-bis, comma 2 del decreto 141/2010 che effettuano la comunicazione all’OAM, entro 60 giorni dall’entrata in vigore del decreto ministeriale, possono continuare a svolgere la propria attività fino alla scadenza dei termini previsti per la verifica della completezza della domanda da parte dell’OAM stesso.
L’OAM, ai sensi dell’articolo 3, comma 6, dopo aver verificato la regolarità e la completezza della comunicazione e della documentazione alla stessa allegata, entro quindici giorni, dispone ovvero nega l’iscrizione nella sezione speciale del registro; il termine può essere sospeso una sola volta, per un periodo non superiore a dieci giorni, qualora l’OAM ritenga la comunicazione incompleta ovvero ritenga necessario integrare la documentazione allegata.
Decorso tale termine senza che il soggetto richiedente abbia provveduto a rispondere compiutamente, la richiesta di iscrizione si considera come non pervenuta, e l’OAM nega l’iscrizione nella sezione speciale del registro, dandone tempestiva e motivata comunicazione; si noti che la mancata iscrizione non pregiudica il diritto del soggetto richiedente ad effettuare una nuova successiva comunicazione ai fini dell’iscrizione nella sezione speciale del registro.
Coloro che risultano iscritti nel registro sono poi tenuti ad effettuare un attività di reportistica, con cadenza trimestrale, in relazione alle operazioni compiute dai clienti onde consentire all’OAM di fornire tali informazioni al Nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di finanza e alle forze di polizia, per le finalità di cooperazione di cui al già richiamato Decreto Legislativo 141/2010.
- I regolamenti in corso di adozione da parte del legislatore europeo
La normativa appena introdotta in Italia, potrebbe essere sostanzialmente modificata o addirittura soppiantata a breve, Infatti, nell’ambito del c.d. “pacchetto per la finanza digitale”, comprendente le strategie per la finanza digitale, per i pagamenti al dettaglio nonché le proposte legislative sulle cripto-attività e sulla resilienza digitale, promosso dalla Commissione Europea per stimolare la competitività e l’innovazione europea nel settore finanziario, sono state inseriti i progetti per l’adozione di alcune nuove norme, aventi ad oggetto la regolamentazione dei mercati delle cripto-attività, un regime pilota per le infrastrutture di mercato che intendono consentire la negoziazione e il regolamento delle operazioni in strumenti finanziari sotto forma di cripto-attività ed infine la resilienza operativa digitale, necessaria per bloccare gli attacchi informatici e rafforzare la sorveglianza dei servizi esternalizzati, così come un regolamento che disciplini la costituzione e l’utilizzo di registri distribuiti.
Probabilmente anche a seguito degli sviluppi regolamentari derivanti dall’adozione della V direttiva antiriciclaggio, il legislatore europeo sembra quindi aver superato i dubbi circa la necessità di regolamentare il mercato, l’emissione e l’utilizzo delle cripto-attività.
Le proposte legislative che andremo ad analizzare nel prosieguo appaiono, a tutti gli effetti, il frutto di tale processo decisionale.
3.1 La proposta MiCAR
La Commissione europea ha pubblicato, il 24 settembre 2020, una bozza di Regolamento dedicata ai mercati di cripto-attività (per brevità “MiCA”), quale conseguenza delle relazioni e delle analisi preliminari svolte in materia che si articola intorno a due principali tematiche: (i) le regole applicabili alle cripto-attività appartenenti all’universo degli strumenti di pagamento e della moneta elettronica e (ii) le regole applicabili a tutte le cripto-attività che non rientrino nell’ambito di applicazione della vigente legislazione europea sui mercati finanziari e dei sistemi di pagamento (strumenti finanziari, depositi, moneta elettronica).
Va tenuto presente che le cripto-attività possono essere progettate e strutturate in diversi modi, con la conseguenza che le stesse possono comportare l’attribuzione della titolarità di una grande varietà di diritti, relativi ad interessi finanziari o non finanziari; premesso tutto ciò, se taluni tokens possono essere ricompresi nelle categorie di base degli strumenti finanziari secondo quanto stabilito dalla MiFID II (oppure ai requisiti AIFMD-UCITS se devono essere considerati come quote di organismi di investimento collettivo del risparmio), allora saranno sottoposti alle disposizioni ed ai requisiti ivi previsti, nonché alle norme sui prospetti informativi.
Nella bozza di regolamento MiCA, viene ripreso il tema della tassonomia e quindi della corretta qualificazione delle cripto-attività, laddove il Considerando (9) richiama la citata tripartizione delle cripto-attività, prevedendo una ampia e generale definizione di cripto-attività, ma anche una specifica definizione con riferimento agli asset-referenced token, ai currency token e, infine, agli utility token, per evitare rischi di elusione della normativa in corso di adozione.
La definizione, contenuta nell’art. 3 della proposta di regolamento, ha lo scopo di individuare l’ambito di applicazione generale della norma, le cui regole sono poi strutturate secondo tre diverse direttrici: la prima, contenuta nel Titolo II, attiene alle disposizioni applicabili agli utility token, la seconda, disciplinata dal Titolo III, riguarda invece i token collegati ad attività (chiamati altresì stablecoins) includendo anche le disposizioni per quelli che siano qualificati come significativi e, la terza, oggetto delle previsioni del Titolo IV e V, che si riferisce ai token di moneta elettronica, che potranno essere commercializzati solamente da soggetti autorizzati ad operare come ente creditizio o “istituto di moneta elettronica” (e che potranno parimenti essere qualificati come significativi).
Ancora ai sensi dell’art. 3, e per meglio qualificare l’ambito di applicazione della disposizione, viene definito cosa si intende per “servizio per le cripto-attività”, specificando che si tratta di “qualsiasi servizio e attività elencati di seguito in relazione a qualsiasi cripto-attività: a) la custodia e l’amministrazione di cripto-attività per conto di terzi; b) la gestione di una piattaforma di negoziazione di cripto-attività; c) lo scambio di cripto-attività con una moneta fiduciaria avente corso legale; d) lo scambio di cripto-attività con altre cripto-attività; e) l’esecuzione di ordini di cripto-attività per conto di terzi; f) il collocamento di cripto-attività; g) la ricezione e trasmissione di ordini di cripto-attività per conto di terzi; h) la prestazione di consulenza sulle cripto-attività”.
Gli articoli 4 e stabiliscono invece l’obbligo della redazione del c.d. White Paper per chiunque intenda offrire utility tokens, fatto salvo che tali cripto attività siano uniche e non fungibili con altre cripto-attività (NFT), ovvero siano offerte a meno di 150 persone fisiche o giuridiche per ogni Stato membro, ovvero ancora, nell’arco di un periodo di 12 mesi, il corrispettivo totale dell’offerta al pubblico di cripto-attività nell’Unione Europea non superi 1 milione di euro, o, infine, l’offerta al pubblico delle cripto-attività sia rivolta esclusivamente agli investitori qualificati e le cripto-attività possono essere detenute solo da tali investitori qualificati, ed il contenuto minimo del predetto documento che deve includere, tra l’altro, una descrizione dettagliata del progetto dell’emittente, del tipo di cripto-attività che sarà offerto al pubblico o di cui si chiede l’ammissione alla negoziazione, dei motivi per cui le cripto-attività saranno offerte al pubblico o per cui si chiede l’ammissione alla negoziazione e dell’uso previsto della moneta fiduciaria o di altre cripto-attività raccolte tramite l’offerta stessa.
La bozza di regolamento contiene quindi, nella sostanza, una disciplina applicabile alla offerta e alla circolazione degli utility token, che riflette, nonostante le premesse e come già accaduto per molti aspetti della legislazione applicabile in materia di operatori Fintech, pratiche di mercato consolidate ed esistenti, oppure l’adattamento di regole già contenute nella legislazione che disciplina il mercato dei capitali (il regolamento MiFID, la disciplina sul Prospetto e quella sul Market Abuse).
Venendo alla disciplina dei token collegati ad attività, l’articolo 15 impone una notevole restrizione, laddove stabilisce che chiunque li offra al pubblico nell’Unione Europea o richieda l’ammissione di tali attività alla negoziazione su una piattaforma di negoziazione di cripto-attività, debba aver ricevuto apposita autorizzazione dall’autorità competente del proprio Stato membro d’origine; l’autorizzazione non è necessaria se, in un periodo di 12 mesi, l’importo medio dei token collegati ad attività in circolazione non supera i 5 milioni di euro ovvero se l’offerta al pubblico è rivolta esclusivamente a investitori qualificati e gli stessi possono essere detenuti solo da tali investitori.
Anche per tali emissione deve essere predisposto il White Paper, il cui contenuto è dettagliatamente descritto nell’articolo 17 della proposta normativa, ma qui è prevista una sostanziale differenza: il documento in questione dovrà seguire una procedura di analisi e sarà infine approvato dall’autorità competente, così come previsto dall’articolo 19; sussiste quindi, nel caso di specie, un duplice livello di autorizzazione per procedere alla pubblicazione del documento e quindi al valido collocamento dei tokens sul mercato.
Non molto diversa appare infine la disciplina applicabile ai token di moneta elettronica, posto che l’articolo 43 stabilisce una riserva di legge per la loro emissione (a favore di istituti di credito e di moneta elettronica), le eccezioni a tale restrizione e l’obbligo di pubblicare (ed altresì in questo caso previa debita approvazione) un White Paper; è tuttavia interessante notare come la bozza del successivo articolo 44 preveda che i possessori di token di moneta elettronica debbano ricevere un credito nei confronti dell’emittente e che ne sia vietata l’emissione se gli stessi non offrono un corrispondente diritto credito a tutti i possessori (in evidente analogia con le disposizioni sulla moneta elettronica ed il suo rimborso).
3.2 La regolamentazione della tecnologia basata su registri distribuiti
Un’altra proposta normativa assume particolare rilevanza avendo ad oggetto la regolamentazione dell’utilizzo dei distributed ledger o della tecnologia denominata DLT[2].
Tale esigenza nasce, inoltre, dal recentissimo sviluppo della c.d. DeFI o Decentralized Finance, area in cui le applicazioni decentralizzate (ovvero dApp) sono riuscite a ricavarsi molto spazio in riferimento ai servizi di trading di criptovalute su exchange decentralizzati, dove ogni scambio è interamente peer-to-peer e nessuna azienda o istituto è proprietario della piattaforma o coinvolto come intermediario nelle operazioni; oltre allo scambio totalmente libero di criptovalute, i servizi legati alla DeFi comprendono la possibilità di prestare o prendere in prestito delle criptovalute maturando un interesse, o anche di scommettere, così come è possibile scambiare derivati di asset reali, valute o metalli preziosi, senza alcun tipo di controllo da parte di un ente regolamentato.
La proposta legislativa formulata dal legislatore europeo, riguarda un regime pilota per le infrastrutture di mercato basate sulla tecnologia di registro distribuito, che si propone di disciplinare la tokenizzazione degli strumenti finanziari, vale a dire la loro trasformazione in cripto-attività per consentirne l’emissione, la memorizzazione e il trasferimento in un registro distribuito, che dovrebbe aprire nuove opportunità per incrementi di efficienza nell’intero ambito della negoziazione e della post-negoziazione.
La disposizione ha lo scopo di stabilire i requisiti per i sistemi multilaterali di negoziazione e i sistemi di regolamento titoli che utilizzano la tecnologia di registro distribuito, le c.d. “infrastrutture di mercato DLT“, a cui sono concesse specifiche autorizzazioni a operare e, all’articolo 2, definisce come “tecnologia di registro distribuito (DLT)”, la classe di tecnologie che supportano la registrazione distribuita di dati cifrati e come “infrastruttura di mercato DLT”, ogni sistema multilaterale di negoziazione DLT o sistema di regolamento titoli DLT; quest ultimo è identificato poi come un sistema multilaterale di negoziazione gestito da un’impresa di investimento o da un gestore del mercato, che ammette alla negoziazione solo valori mobiliari DLT e che può essere autorizzato, sulla base di regole e procedure trasparenti, non discrezionali e uniformi atte ad (a) assicurare la registrazione iniziale dei valori mobiliari DLT; (b) regolare le operazioni in valori mobiliari DLT contro pagamento; e (c) prestare servizi di custodia in relazione ai valori mobiliari DLT o, se del caso, ai relativi pagamenti e garanzie reali, utilizzando il sistema multilaterale di negoziazione DLT.
Per “valori mobiliari DLT” la bozza di proposta si riferisce poi ai valori mobiliari solamente ove soddisfino le seguenti condizioni: (a) azioni il cui emittente ha una capitalizzazione di mercato o una capitalizzazione di mercato provvisoria inferiore a 200 milioni di Euro; ovvero (b) obbligazioni convertibili, obbligazioni garantite, obbligazioni societarie, altre obbligazioni pubbliche e altre obbligazioni, con un’entità dell’emissione inferiore a 500 milioni di Euro, possono essere ammessi alla negoziazione in un mercato multilaterale di scambio DLT e registrati in un registro distribuito da un soggetto che gestisce un tale sistema di regolamento titoli.
Va evidenziato poi, come poco prima, il 3 giugno 2021 la Commissione abbia, tra l’altro, diffuso una seconda proposta normativa avente ad oggetto la revisione del regolamento eIDAS[3] per stabilire un quadro comunitario che supporti un’Identità Digitale europea, dalla quale emerge un nuovo servizio fiduciario per la gestione di ciò che viene definito un “registro elettronico”.
Con l’obiettivo di offrire una risposta concreta alle dinamiche dei mercati e agli sviluppi tecnologici, l’articolato proposto intende estendere l’attuale elenco dei servizi fiduciari, prevedendo tre nuovi servizi fiduciari qualificati: (i) la fornitura di servizi di archiviazione elettronica, (ii) il mantenimento di registri elettronici e (iii) la gestione di dispositivi per la creazione di firme elettroniche e sigilli a distanza.
Il regolamento prevede quindi l’obbligo di certificazione come “prestatori qualificati di servizi fiduciari relativi alla gestione e al mantenimento dei registri elettronici”, attraverso la quale si dovrebbe arrivare a fornire agli utenti la certezza giuridica per le applicazioni basate su questa tecnologia; inoltre stabilisce che il servizio fiduciario per i registri elettronici e i registri elettronici qualificati, nonché la certificazione come prestatore di servizi fiduciari qualificato per i registri elettronici, abbiano valore a prescindere dalla necessità che le relative applicazioni siano conformi al diritto dell’Unione Europea o di uno Stato Membro, fermo restando che, quando i registri elettronici, sono utilizzati per l’emissione e/o la negoziazione di security o currency tokens o comunque di strumenti finanziari, continueranno a trovare applicazione altresì le norme che regolano la materia.
Da una prima lettura della bozza di regolamento, relativamente agli effetti prodotti dai registri distribuiti, si evidenzia il riconoscimento dei relativi effetti legali, in quanto viene stabilito che ad un registro elettronico non possono essere negati gli effetti giuridici e l’ammissibilità come prova in un procedimento giudiziario solo per il fatto che abbia forma elettronica o che non soddisfi i requisiti per i registri elettronici qualificati e che laddove un registro elettronico sia definibile come “qualificato”, lo stesso goda della presunzione di unicità e autenticità dei dati che contiene, dell’accuratezza della loro data e ora, e del loro ordine cronologico sequenziale all’interno del registro stesso.
Detti registri dovranno essere creati da uno o più fornitori di servizi fiduciari qualificati, assicurare l’unicità, l’autenticità e la corretta sequenza delle voci registrate nel registro nonché il corretto ordine cronologico sequenziale dei dati inseriti nel registro e l’accuratezza della data e dell’ora di inserimento dei dati; inoltre dovranno registrare i dati in modo tale che qualsiasi cambiamento successivo dei dati sia immediatamente rilevabile.
[1] R.M. Bratspies, Cryptocurrencies and the Myth of the Trustless Transaction, March 2018, pag. 6 e ss.
[2] Proposta REGOLAMENTO DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO relativo ad un regime pilota per le infrastrutture di mercato basate sulla tecnologia di registro distribuito
[3] Regolamento (UE) 910/2014 in materia di identificazione elettronica e servizi fiduciari per le transazioni elettroniche nel mercato interno e che abroga la direttiva 1999/93/CE.