A giudicare dal clima che si è instaurato a seguito dei recenti dibattiti, tra social e Consiglio dei ministri, difficilmente rivedremo il cashback a patire dal gennaio 2022. Il 25 ottobre, chi lo aveva varato, ovvero l’ex premier Giuseppe Conte, oggi capofila del Movimento 5 stelle, ne ha chiesto via Facebook la reintroduzione con un post dal titolo “È il tempo di riattivare il Cashback”. In questo post, a suffragio della sua convinzione, Conte ha citato vari dati statistici ripresi dalle evidenze recenti del PoliMI che certifica il boom di transazioni digitali nel primo semestre del 2021: +41%, ovvero si è passati da 2,3 miliardi del 2020 a 3,2 miliardi nel gennaio-giugno 2021. Di diversa opinione è l’attuale inquilino di Palazzo Chigi il quale ha sempre ritenuto il cashback una misura regressiva in grado di dirottare risorse preziose soprattutto verso cittadini e aree già abbienti e potenzialmente abbastanza digitalizzate. Secondo Draghi, inoltre, il costo del cashback deve essere considerato non solo rispetto ai benefici attesi (lotta all’evasione, rintracciabilità del pagamenti, etc.), ma inserito nel quadro economico e sociale che sta vivendo l’Italia della pandemia. Vale a dire che, mentre crescono i cittadini in uno stato di povertà assoluta non è il caso di spostare risorse che vanno a vantaggio – sempre secondo Draghi – essenzialmente a chi non ne ha bisogno. A questo punto, essendo le due posizioni fortemente in contrasto tra loro, sembra quasi irraggiungibile anche un accordo al ribasso finalizzato a rivedere i termini per l’assegnazione del Cashback, introducendo criteri basati sul reddito, favorendo dunque l’accesso al rimborso esclusivamente da parte dei cittadini meno abbienti. Revisione che comunque aveva già destato qualche dubbio. Nel giorno di qualche giorno dovrebbe vedere la luce la legge di bilancio e allora si scoprirà se l’iniziativa cashless per eccellenza del Governo Conte tornerà il prossimo anno o sarà definitivamente messa da parte.
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