Si è tenuto oggi un rilevante tavolo di confronto, promosso ed organizzato dal Centro Studi dell’Associazione Prestatori Servizi di Pagamento in collaborazione con lo Studio Pirola Pennuto Zei & Associati, sul tema “La monetizzazione dei dati personali nell’attività di marketing: quali impatti per la privacy“.
Il dibattito è stato presentato dal Presidente A.P.S.P. Maurizio Pimpinella il quale ha rilevato che “le nuove tecnologie hanno rivoluzionato le relazioni sociali, politiche, commerciali, delineando un nuovo tipo di economia fondato sullo scambio tra servizi e dati personali. Nell’ambito di tale attività di scambio la maggior parte dei dati personali quotidianamente raccolti, in particolare mediante piattaforme digitali, non hanno nulla a che vedere con l’erogazione di un servizio ma entrano a far parte del patrimonio informativo del Titolare del trattamento che li utilizza per svolgere delle elaborazioni, mediante le quali è possibile delinearne i profili” . Infatti, ha evidenziato, “Le big tech già “attingono” ai nostri dati personali ogni volta in cui accediamo ai loro servizi, sia in forma gratuita (fittizia) sia a pagamento. In ogni caso, il principale valore risiede nelle informazioni che noi consapevolmente o inconsapevolmente forniamo loro“.
Il recente schema di decreto attuativo in corso di adozione dal parte del Governo in attuazione della direttiva europea 2019/770 (la cui entrata in vigore è attesa per il 1 gennaio 2022), di fatto ammettono l’utilizzo dei dati per l’acquisto di contenuti digitali, con buona pace della tutela della privacy che, però, ne esce tutt’altro che indebolita. Anzi, la notizia è da accogliere con favore. L’esplicitazione di una pratica comune già da tempo, infatti, contribuisce a fugare buona parte delle ambiguità che riguardano la protezione dei dati e l’ambito di applicazione ponendo le basi per una regolamentazione puntuale del fenomeno.
Tale particolare declinazione del trattamento dei dati personali è stata presa in considerazione nella direttiva (UE) 2019/770 nella quale si considera il trasferimento di dati personali quale forma di corrispettivo nel contratto di fornitura di contenuti o servizi digitali e come obbligazione equiparabile al pagamento di un prezzo (anche se con finalità non legate agli aspetti privacy e solo a tutela del consumatore), riaffermando, tuttavia, il rango di diritto fondamentale della protezione dei dati personali, i quali non possono essere considerati una merce.
Nel corso del suo intervento, invece, l’avvocato Mario Valentini dello Studio Pirola Pennuto Zei & Associati ha indicato che: “La monetizzazione dei dati personali è un tema molto attuale nell’attività di impresa, che contrappone, da una parte, il rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali dei soggetti interessati, con il perseguimento, dall’altra, dell’attività di impresa, attuata attraverso lo scambio di beni e servizi allo scopo di produrre utili. La monetizzazione dei dati personali si pone quindi come strumento innovativo, che deve vedere il consenso informato dell’interessato come elemento centrale per la realizzazione di tale legittima finalità di impresa“.
La formulazione della direttiva sopra citata risente del dibattito che è stato innescato dal Garante europeo che, con l’Opinion 4/2017 ha messo in guardia il legislatore europeo circa nuove disposizioni che avallino l’idea che le persone possono pagare con i loro dati come fanno con il denaro, in quanto “non si può monetizzare e sottoporre un diritto fondamentale ad una semplice transazione commerciale, anche se è la persona interessata dai dati che è parte della transazione” e tale posizione è stata recentemente ribadita anche dal neo-eletto Presidente dell’Autorità italiana Garante per la protezione dei dati personali Stanzione. Una posizione maggiormente articolata giunge dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 17278/2018, che, richiamando il concetto di “consenso libero” afferma che il condizionamento del consenso deve essere valutato rispetto alla prestazione offerta, a seconda che essa sia infungibile ed irrinunciabile o meno per l’interessato. Nel caso in cui il servizio offerto sia fungibile e rinunciabile, la relativa fruizione può essere subordinata alla prestazione del consenso. Infatti ad essere vietato sarebbe solo l’invio di informazioni pubblicitarie a chi non ha manifestato effettivamente la volontà di riceverle. Come enucleato espressamente dalla sentenza, “l’ordinamento non vieta lo scambio di dati personali, ma esige tuttavia che tale scambio sia frutto di un consenso pieno ed in nessun modo coartato”.
I temi che questo argomento solleva sono vari e possono portare a soluzioni differenti a seconda se siano esaminati nella prospettiva di un’impresa economica oppure in quella di un individuo a cui appartengono una molteplicità di diritti fondamentali, fra i quali è pacifico annoverare il diritto alla riservatezza e all’identità personale, quale manifestazione del diritto fondamentale all’intangibilità della sfera privata, che attiene alla tutela della vita degli individui nei suoi molteplici aspetti e che trova riferimenti nella Costituzione italiana (artt. 2, 14, 15 Cost.), e in numerose sentenze della Corte Costituzione. Tale considerazione ci impone di caratterizzare il diritto alla protezione dei dati personali per la sua inalienabilità e indisponibilità.
All’evento hanno partecipato attivamente numerosi rappresentanti di imprese ed istituzioni i quali con i loro interventi e le puntuali domande hanno contribuito ad animare il dibattito.