Il dilemma sulla sorte che dovrebbe spettare al cashback aleggia come un fantasma sulla politica e la politica economica italiana. Di tanto in tanto, infatti, la diatriba tra le due schiere di oltranzisti (sostenitori e abolizionisti) trova nuovo vigore, magari alimentata da alcune novità, nuovi casi di furbetti, dichiarazioni di esponenti politici o prese di posizione da parte di Istituzioni o membri del Governo.
Tempo fa, ad esempio, il Sottosegretario all’economia Durigon si era detto aperto ad un possibile stop del cashback prima della naturale scadenza, salvo poi sostanzialmente rivedere tale posizione – dati alla mano – nel corso di un’audizione parlamentare. Tra i sostenitori dell’iniziativa cashless c’è sempre stata la Vice Ministro all’economia Laura Castelli, secondo la quale la misura sostanzialmente si autofinanzia. Mentre tendenzialmente mediana era stata la presa di posizione del Ministro dell’innovazione Vittorio Colao, il quale in audizione aveva apertamente esposto che non sarebbe stato uno scandalo fermare l’iniziativa prima del termine naturale, salvo affermare anche soddisfazione per il suo impatto in quanto “molti italiani hanno imparato o cominciato a fare cose che prima non facevano”.
Tra i riformisti, poi, vi era stato il Comandante Generale della Guardia di Finanza Generale Giuseppe Zafarana il quale, in audizione sulla riforma dell’Irpef, aveva manifestato l’opinione di riformare l’iniziativa del cashback indirizzandola verso le categorie merceologiche e i settori maggiormente a pericolo di evasione, come disse “concentrandolo sulle categorie a maggior rischio di evasione fiscale anzichè prevederne l’utilizzo per qualsiasi pagamento anche presso la grande distribuzione, le spese per utenze e trasporti ferroviari che sono categorie in cui non si rileva evasione fiscale”. Su questa stessa lunghezza d’onda, era stata, nella memoria sul DEF 2021 dello scorso aprile, la Corte dei Conti la quale riteneva fosse necessario “evitare la dispersione di risorse con l’incentivazione di operazioni in settori ove non si registrano significativi fenomeni di omessa contabilizzazione dei corrispettivi o nei quali il pagamento mediante carte di debito o di credito è da tempo invalso nell’uso”.
In questi giorni, sempre la Corte dei Conti, nel suo Rapporto 2021 sul coordinamento di finanza pubblica, è tornata ad accendere, almeno in parte, il dibattito. La Corte ha ribadito sostanzialmente la presenza di “criticità e limiti” nel progetto cashback rilevando che andrebbe rivisto riguardando alcune tipologie di merci e di esercenti (e non solo le grandi catene), che l’effetto anti evasione non è immediatamente dimostrabile e che la soglia minima dei pagamenti per accedere al bonus è troppo bassa.
In sostanza, la Corte ha ribadito con decisione quanto già affermato in precedenza, integrando il proprio giudizio anche con la considerazione di essere sostanzialmente incapace di misurare il reale impatto del cashback in quanto il Ministero dell’economia “si è limitato a fornire i soli dati relativi alla disaggregazione delle transazioni per classe di importo e la distribuzione del numeri di utenti per fasce di operazione”, rendendo di fatto monco il lavoro di valutazione della Corte per motivi di privacy. Alla luce di tale considerazione, quindi, la relazione della Corte dei Conti rappresenta anche una parziale doglianza nei confronti del MEF, anche perché qualsiasi iniziativa, tanto più che faccia riferimento a capitoli di spesa, non può prescindere dalla conoscenza dei suoi effetti che rappresentano parte integrante del processo di valutazione di qualsiasi politica pubblica.
Ad oggi, il primo semestre 2021 del cashback ha registrato 8,7 milioni di aderenti (ben oltre la metà dei quali hanno già raggiunto la soglia minima delle 50 transazioni), che hanno attivato oltre 16 milioni di strumenti di pagamento e prodotto in totale 671.982.042 transazioni. Per quanto riguarda gli importi delle transazioni, la fascia maggiore riguarda il range tra 25 e 50 euro, seguita però da quello relativo alle transazioni di minimo importo tra 0 e 5 euro, che rappresenta il 15,3% del totale. Al netto quindi delle micro transazioni dei furbetti, in questo dato risiede l’essenza della misura, ovvero l’essere stata in grado di incentivare l’utilizzo della moneta elettronica anche per transazioni di piccolissimo importo se pensiamo, tra l’altro, che il range di spesa tra 5 e 10 euro rappresenta il 14,2% delle transazioni totali.
Nel frattempo, i controlli sui furbetti del super cashback sono già stati avviati. A queste persone compare un avviso sul portale al quale dovranno dare risposta entro 15 giorni, sostanzialmente giustificando le transazioni effettuate. Questa dovrebbe essere solo la prima delle iniziative correttive della misura cui, dopo sei mesi pieni di implementazione, farebbe bene un check up generale, tenendo però sempre ben presente che, proprio in questi giorni e in virtù delle quasi totali riaperture, per la prima volta dalla sua introduzione, viene messa in condizione di sviluppare tutto il potenziale previsto in fase di elaborazione.