Continue prove di forza da parte dei controllori cinesi nei confronti delle imprese tecnologiche e delle fintech locali. L’Antitrust va all’attacco delle società offshore create nei paradisi fiscali che Alibaba, Meituan, Tencent, JD.com, Baidu e co. hanno utilizzato finora per attirare capitali, specie americani, sui listini cinesi, aggirando i divieti statali agli investimenti stranieri.
Si tratta di entità parallele (variable interest entity) basate soprattutto nelle Isole Cayman, ma anche in Irlanda, Bermuda, Lussemburgo, Olanda, Panama, l’elenco è lungo, che schermano quelle vere, operative in Cina, alle quali la SAMR (State administration for market regulations) per la prima volta applicherà integralmente la disciplina antimonopolio. Ma l’esercizio della ritrovata forza del Partito Comunista nei confronti di queste imprese si afferma con un altro passaggio. La Banca centrale cinese, infatti, la stessa che ha richiesto l’intera banca dati sui pagamenti di Ant, braccio fintech di Alibaba, ha firmato un accordo di cooperazione strategica proprio con Ant per costruire una piattaforma tecnica idonea alla sua valuta digitale sovrana. In altre parole, realizzare un veicolo innovativo con cui gestire l’intero volume di transazioni da effettuarsi con la nuova valuta. Pechino non può farlo da sola, per questo ha chiesto la collaborazione di Ant che grazie alla sua tecnologia gestisce miliardi di transazioni all’anno. In particolare, il governo cinese necessità di due asset di proprietà di Alibaba: il database di Ant, Ocean Blue e della piattaforma mobile Mpaas. Stando ai media locali, non è ancora chiaro se Tencent e Alibaba abbiano effettivamente acconsentito all’operazione ma, visti i precedenti, c’è da immaginare che il Governo cinese abbia solide argomentazioni per convincerli, tra cui rimane viva anche l’opzione di nazionalizzazione, anche perchè la loro tecnologia è pressochè indispensabile per realizzare il progetto della moneta digitale sovrana.
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