La pandemia ha velocizzato la digitalizzazione dei servizi finanziari e l’open banking sta diventando una realtà alla portata di tutti.
A un anno e mezzo dall’introduzione della direttiva europea PSD2 sulla condivisione dei dati tra operatori bancari e non, la migrazione verso l’open banking corre sempre più veloce. La pandemia da coronavirus ci ha indotti a spostare ogni business online e ha così accelerato la trasformazione digitale del sistema bancario e dell’industria dei servizi finanziari.
Che cos’è l’open banking
Grazie alla direttiva europea PSD2, i software di terze parti possono accedere ad alcuni dati relativi ai conti correnti, previo consenso del correntista. Le terze parti sono società di servizi che forniscono funzionalità aggiuntive rispetto a quelle dell’istituto di credito presso cui è aperto il conto e che possono anche offrire gli stessi servizi della banca, ma in maniera più efficiente o a costi inferiori. Il cliente può quindi permettere a un’altra banca, una fintech o un fornitore di servizi, di accedere ai propri conti, disporre pagamenti o effettuare giroconti tra diversi istituti presso i quali intrattiene dei rapporti. Il rapporto cliente-banca, dunque, non è più esclusivo come un tempo.
Una rivoluzione iniziata già prima della pandemia
L’industria dei servizi finanziari si stava già da tempo evolvendo a un ritmo serrato. A spingere verso l’innovazione digitale erano i consumatori e l’aumento della concorrenza di banche storiche e nuovi player. Mentre l’industria dei servizi finanziari passava dall’analogico al digitale, il settore bancario compiva il processo di transizione da sistema chiuso a sistema aperto.
L’open banking sta oggi rivoluzionando l’esperienza bancaria. La portata di questo cambiamento è già ben visibile nei numeri. In Italia le terze parti raggiungono già le 131 unità e il loro numero è in continua crescita. Anche in altri Paesi europei si registra uno sviluppo analogo: in Germania le terze parti sono già 159, in Francia 145 e in Spagna 135. In Inghilterra le norme che istituiscono l’open banking sono state introdotte nel 2018 e oggi le terze parti sono già 270.
I vantaggi dell’open banking
Se implementato correttamente, il modello dell’open banking potrebbe democratizzare il mondo dei servizi finanziari rendendolo fruibile a molte più persone. Questo significa più scelta per i consumatori e un bacino molto più ampio di potenziali clienti per le imprese. Non ultimo: più efficienza e una riduzione significativa dei costi operativi.
Un’opportunità per istituzioni finanziarie e imprese
Nell’ultimo anno l’emergenza sanitaria ha accelerato la migrazione verso i canali digitali. Questo offre alle istituzioni finanziarie un’opportunità in più per superare la concorrenza e ottimizzare la customer experience. Tuttavia, l’open banking rappresenta anche una vera e propria riscossa per cittadini e imprese, che finalmente si trovano al centro dei servizi finanziari di cui si servono. Si tratta, quindi, di un’opportunità che tutti i soggetti interessati da questo cambiamento devono sfruttare. Le istituzioni finanziarie possono riuscirci seguendo tre pilastri:
- creare una propria strategia di open banking chiara e definita;
- concentrarsi sulla risoluzione di problemi concreti e investire dove ci sono le opportunità commerciali;
- dare priorità alle partnership fintech.
L’importanza delle terze parti
Le istituzioni finanziarie dovrebbero poi concentrarsi sulla risoluzione di problemi concreti e investire dove ci sono opportunità commerciali. La suddetta ricerca di Tink evidenzia che in Italia il 47% degli istituti finanziari non spende più di 50 milioni di euro nelle strategie di open banking e che oltre la metà dei dirigenti italiani spinge per spendere più di 100 milioni di euro.
Dalla ricerca emerge anche che nel nostro Paese alcune banche investono in soluzioni di open banking solo per essere riconosciute come innovative sebbene non nutrano fiducia nelle potenzialità del sistema. Il budget da stanziare in open banking è importante, tuttavia non si può puntare solo su questo. Bisogna pensare a creare valore e risolvere problemi concreti operando come fornitori di terze parti (TPP). Solo così si può trarre pieno vantaggio e offrire sempre maggiori benefici ai clienti privati e alle imprese. Benefici che non sono legati soltanto alla maggiore facilità dei pagamenti.
Tramite l’open banking, infatti, banche, società finanziarie e fintech avranno accesso a una mole sempre più rilevante di dati finanziari e potranno proporre soluzioni personalizzate alla clientela. Poter attingere agli estratti conto di un’impresa consentirà di valutarne il merito creditizio in maniera molto più precisa di quando ci si poteva basare solo sui dati di bilancio. In questo modo, per le imprese sarà più facile ottenere dei prestiti. In particolare, quelle in grado di reagire più velocemente alle difficoltà create dalla pandemia, non dovranno attendere la pubblicazione dei futuri bilanci per poter avere accesso al credito.
Dare priorità alle partnership fintech
Gli istituti finanziari dovrebbero cercare di costruire partnership con le fintech e dotarsi di tecnologia e competenze per accelerare l’innovazione.
I dati Tink evidenziano che il 69% degli istituti finanziari europei intervistati ha aumentato il numero di partnership fintech nel 2019. In Italia lo ha fatto il 17% degli istituti. Numeri che sono destinati a crescere nel 2021, grazie a collaborazioni intelligenti in grado di aiutare le banche ad affrontare processi di approvvigionamento e di onboarding, sempre nell’ottica di migliorare l’esperienza del cliente finale.Infatti, l’open banking porta molti vantaggi ai clienti finali, privati e imprese, che potranno usufruire – oltre ai servizi offerti dal proprio istituto di credito – anche di quelli offerti dalle terze parti.