E’ arrivato il giorno della presentazione del consueto studio annuale di The European House Ambrosetti relativo all’incidenza dei pagamenti elettronici in Italia e in alcune delle più avanzate economie del mondo. Protagonisti dell’edizione 2021 sono stati le riforme cashless adottate dal Governo Conte 2 e, in particolare il cashback. Per quanto riguarda quest’ultima misura, a marzo gli utenti attivi sarebbero tra i 7 e gli 8 milioni, con il 56,6% delle transazioni concentrate su importi inferiori ai 25 euro, mentre il transato è passato dai 2,9 milioni di dicembre ai 4,1 di fine febbraio. Notizie positive riguardo sempre sul cashback in quanto se confermato per un biennio, potrebbe abilitare fino a 24 miliardi di consumi aggiuntivi, con un gettito aggiuntivo di circa 4,4 miliardi e recupero del sommerso di 1,2 miliardi. La stima è riferita a un cumulato sul periodo dicembre 2020- dicembre 2022, a fronte di una dotazione finanziaria complessiva di circa 5 miliardi nello stesso periodo. In generale, le misure cashless del precedente governo sono considerate positivamente dalla community sia per quanto riguarda gli effetti di incentivo dei pagamenti elettronici e di sostegno dei consumi, sia come driver della digitalizzazione.
Il nostro Paese si conferma tra le trentacinque peggiori economie al mondo per incidenza del contante su Pil monitorate dal Cash Intensity Index 2021, ovvero l’indicatore della Community che misura il livello di “dipendenza dal contante” in 144 economie del mondo. L’Italia si trova oggi al 33° posto, nonostante un miglioramento di cinque posizioni rispetto all’edizione 2020, in cui era al 28° posto. Anzi, lo studio ha evidenziato come negli ultimi anni, nonostante i progressi fatti, la crescita si sia sostanzialmente stabilizzata. Detto questo, nel Cashless Society Index 2021, l’Italia rimane stabile in sestultima posizione in Europa (23ma su 28 Paesi) per stato di avanzamento della cashless society davanti solo a Ungheria, Croazia, Grecia, Romania e Bulgaria. Il punteggio di 3,60 è pressoché stabile ma in riduzione rispetto a quello dello scorso anno (3,64), dimostrando come l’Italia abbia peggiorato la propria performance nei KPI considerati relativamente agli altri Paesi europei e confermandosi quindi nella parte bassa della classifica.